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Dal Pausilipon di Napoli sangue cordonale per un bambino americano affetto da una patologia rara

Roberta Penta ci racconta della banca del sangue del cordone ombelicale, come funziona e a cosa serve.

Dal Pausilipon di Napoli sangue cordonale per un bambino americano affetto da una patologia rara

L’America chiama, Napoli risponde, e lo fa aiutando un piccolo paziente americano affetto da una rara malattia genetica grazie all’invio di un’unità di sangue cordonale conservato presso la BaSCO, Banca del sangue cordonale dell’ospedale Pausilipon.
Un importante passo verso l’utilizzo delle cellule staminali in rare patologie genetiche, in cui, dunque, c’è un pezzo di Napoli e di Campania. Ne abbiamo parlato con uno dei dirigenti della BaSCO, Roberta Penta, che ci ha raccontato come questo sia stato possibile e l’importanza che ha la donazione di cordone ombelicale nel fornire una possibilità di vita ai pazienti gravi.

Dottoressa Penta, innanzitutto che cos’è il BaSCO e come funziona?
«È la banca del sangue cordonale presente al Pausillipon, ed è l’unica regionale. Qui arrivano le raccolte delle donazioni fatte nei vari ospedali di tutta la regione, che sono accordati con noi per effettuare le raccolte ed inviarcele qualora la mamma esprima la volontà di donare il proprio cordone ombelicale. I cordoni arrivano da noi, vengono analizzati secondo la corrispondenza ad una serie di criteri stabiliti e, se vanno bene, vengono conservati. I dati di queste unità, dalle loro caratteristiche genetiche agli esami a cui sono stati sottoposti, vengono inseriti nei registri mondiali che servono per la ricerca di donatori compatibili laddove ci sia la necessità di un trapianto di cellule staminali. In pratica, se in qualche parte del mondo c’è una necessità di un trapianto di cellule staminali da parte sia di un paziente pediatrico che di un paziente adulto, il medico inserisce i dati del paziente nel registro e cerca o un donatore di midollo compatibile o un’unità di sangue cordonale».

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Per quali patologie viene impiegato in genere il sangue prelevato dal cordone?
«La maggior parte delle volte si tratta di patologie del sangue, soprattutto leucemie. Oggi però l’unità di sangue che abbiamo inviato è diretta ad un bimbo americano di circa 7 anni affetto da una rara malattia genetica, l’adrenoleucodistrofia, quella, per intenderci, trattata nel celebre film ‘L’olio di Lorenzo’. È un caso particolare, è la prima volta che ci viene richiesta un’unità di sangue cordonale per una malattia genetica».

L’unità che oggi avete inviato in America era l’unica compatibile al mondo per questo paziente?
«Non lo sappiamo. Gli ospedali fanno una ricerca, trovano magari un donatore di midollo in Francia, un cordone in Spagna e poi valutano quello che può essere migliore e più compatibile di un altro o con caratteristiche migliori. A volte c’è una sola possibilità, altre volte possono scegliere tra due o tre opzioni quella migliore per il paziente».

Da chi siete stati contattati per la richiesta dell’unità di sangue?
«Dal registro italiano. A livello italiano esiste una rete che comprende 19 banche di cordone: la Campania ne fa parte con la nostra banca, quella del Pausilipon. Tutte le banche del cordone inseriscono i propri dati nel registro italiano che fa un po’ da tramite, per cui tutte le richieste a noi arrivano tramite il registro italiano. In genere ci chiedono di metterci in contatto direttamente con l’ospedale e di mandare anche a loro la documentazione. Poi si avvia il percorso per la spedizione».

Quanti sono gli ospedali campani presso i quali è possibile donare il cordone ombelicale?
«Attualmente sono una trentina. Quando nacque la BaSCO un po’ tutti gli ospedali furono invitati a partecipare al programma, ma molti hanno problemi organizzativi. Chiediamo che chi fa raccolte sia formato da noi proprio per fare questo e che si rispettino delle regole che indichiamo. Solo dopo proponiamo alla struttura che opta per la raccolta una convenzione con la nostra banca. È un percorso gratuito e volontario, ma è necessaria la registrazione. Non tutti gli ospedali lo fanno per problemi organizzativi».

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Vengono donati molti cordoni o pochi?
«Ne arrivano in abbondanza ma non rispetto al numero di parti effettuati nella nostra regione. Però noi puntiamo certo sul numero ma soprattutto sul fatto che i passaggi siano fatti in un certo modo. Se gli ospedali non possono garantire che la raccolta venga fatta bene, se non c’è garanzia di tutti i passaggi necessari, è meglio non farlo, sarebbe tempo sprecato. Si tratta di cellule che poi devono essere trapiantate e dobbiamo controllare tutto, dal momento della raccolta a quando rilasciamo il sangue cordonale».

Come vengono conservati i cordoni ombelicali?
«Nell’azoto liquido, sono crio-perservati per molti anni. La nostra banca è nata nel 2005, abbiamo cordoni da allora».

L’unità di sangue inviata oggi in America da dove proveniva?
«Era stata raccolta nel 2006 presso l’ospedale di Sarno grazie alla volontà di una mamma di effettuare la donazione solidale. Questo fa capire quanto sia importante farlo».

Quanto è importante per voi sapere di essere stati utili a questo bambino?
«Molto. È la realizzazione del nostro lavoro quotidiano, un contributo importantissimo. Ogni giorno al Pausilipon facciamo trapianti per i nostri bambini, quindi abbiamo anche un’attività di laboratorio per l’ospedale ma già se si rilasciano due o tre unità di sangue l’anno è straordinario, perché la compatibilità è difficile. Oggi abbiamo dato un contributo per la cura di una patologia rara, un trapianto che rappresenta una nuova frontiera nell’uso delle cellule staminali. È una grande gioia».
Una curiosità: il donatore viene a sapere dove è finito il suo sangue cordonale, quando lo inviate in qualche ospedale del mondo?
«A volte sì, perché magari dobbiamo contattarlo per chiedere ulteriori chiarimenti sulla documentazione, ma non sempre. In questo caso credo che contatteremo anche l’ospedale di Sarno per avvisarli».

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