ilNapolista

Cofradia iberica, il gotha mondiale della vela a Napoli

Per la prima volta, dopo 15 anni, una riunione fuori dalla Spagna. Al Savoia la festa per il canottiere di bronzo olimpico Matteo Castaldo

Cofradia iberica, il gotha mondiale della vela a Napoli

Un week-end senza calcio aiuta a riconciliarti con lo sport, anche se le notizie che arrivano dalla Polonia ci hanno tristemente riportato alla realtà. Parliamo comunque di canottaggio e di vela, due delle eccellenze campane – che non sono solo gastronomiche, con tutto il rispetto per lo straordinario work in progress di questo settore fondamentale – che sono confinati inesorabilmente nelle retrovie dell’interesse dei media. (È un errore madornale e questo è il giornale giusto per parlarne: prima o poi lo faremo).

Parliamo di canottaggio, in primis per celebrare la medaglia olimpica di Matteo Castaldo, terza voga e, quindi, “motore” del “quattro senza” che, forse, più dell’otto è la barca simbolo della nobiltà di questo sport. La sua, senza enfasi, è una impresa che da oggi in poi dovrebbe essere materia di studio: come si diventa campioni senza essere un superman o un fuoriclasse ma partendo dalla passione e dalla classe innata, facendo affidamento in quelle virtù che rendono un atleta più forte degli altri, in competizione ma anche nella normalità dell’allenamento: umiltà, accettazione piena e incondizionata del sacrificio, capacità di reagire ai torti che subisci – e lui ne ha subiti tanti, anzi troppi e questo non può essere sottaciuto – , determinazione al limite dello stoicismo. In gara e prima della gara. Matteo possiede queste doti e le ha utilizzate tutte al momento opportuno perché prima di ogni cosa è un ragazzo intelligente e ha avuto la fortuna di avere maestri che hanno creduto in lui come Giuseppe La Mura che ha “visto” il campione che altri non avevano visto e Andrea Coppola, tecnico di frontiera impareggiabile e duttile, che lo ha preso per mano e lo ha accompagnato fino al traguardo olimpico. A questi fattori determinanti se n’è aggiunto un altro: il dna familiare – la famiglia Rolandi-Castaldo è una sorta di fabbrica di campioni, a cominciare da nonno Carlo che sabato sera era raggiante – e l’atteggiamento dei due Circoli per i quali ha gareggiato: negativo quello della Canottieri, positivo e lungimirante quello del Savoia, ma anche qui, come si dice, è questione di manico e quello di Pippo Dalla Vecchia è garanzia di saggezza. So di non essere stato tenero con il Circolo-padre, la Canottieri, ma la verità ha un suo prezzo. Matteo ha più volte detto sabato sera «devo tutto al Savoia», ma noi che lo conosciamo bene sappiamo che il suo cuore è sempre giallorosso anche se il disamore è più forte dell’amore. Il risultato di questo cocktail ben mescolato è che quella medaglia non più di colore bronzo ma nera per la pessima qualità del metallo esibita da Matteo ai ragazzi riuniti al “Savoia” e desiderosi di fare il suo stesso percorso è una sorta di “codice” del campione: seguitelo e vi porterà lontano.

Ed ora parliamo di vela e della Cofradia iberica – prestigiosa associazione a difesa dei valori e della cultura del mare alla quale ha finito per aderire il gotha mondiale di questo sport – che dopo quindici anni ha deciso di uscire dalla Spagna e di riunirsi a Napoli che è l’autentica capitale della vela mondiale riconosciuta oltre i confini, ma misconosciuta in patria. Duecento confratelli – ma non c’è niente di oscuro nella definizione – tre giorni di dibattito e l’impegno a rivedersi ancora a Napoli. Anche questo lo dobbiamo a Carlo Rolandi, timoniere stellato delle “star” e prodiere per tre anni di Tino Straulino. Carlo, come Paolo Rastrelli silenzioso e prezioso dirigente nell’ombra, è un “cofrade”: nel 2015 è stato premiato come personaggio dell’anno e in questi giorni ha visto assegnarsi il premio intitolato a sua moglie Laura che in vita ha partecipato a tutte le riunioni della Cofradia in Portogallo e in Spagna. Il commento conclusivo del presidente onorario della Federazione – nove Olimpiadi alle spalle, cinque da atleta e quattro da dirigente e la decima, la più felice dice lui, vissuta a Rio come nonno di Matteo Castaldo – è da sottoscrivere: «Questa iniziativa si è conclusa felicemente, peccato, però, che, al solito, la città non abbia compreso il senso del messaggio: lo sport può dare molto a Napoli, ma in amore bisogna essere sempre in due».

ilnapolista © riproduzione riservata