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Quant’è forte Insigne quando non vuole spaccare il mondo

Lorenzo subisce la responsabilità di essere profeta in patria e i periodi negativi. Aiutiamolo anche noi, facciamogli capire l’eccellenza della sua normalità.

Quant’è forte Insigne quando non vuole spaccare il mondo

Nell’analisi tattica pubblicata oggi, Alfonso Fasano descrive così la prestazione di Insigne: «Diligente in fase difensiva, ma questa non è una novità. La vera sorpresa sta nell’interpretazione del ruolo, soprattutto rispetto ad altre esibizioni: pochi personalismi, soprattutto alla conclusione (2 i tiri scoccati verso la porta di Sorrentino), e un contributo essenziale in fatto di cucitura del gioco. Ieri sera, Insigne ha messo insieme il 94% di passaggi riusciti. Un rapido calcolo ci dice che i suoi 50 appoggi sono arrivati per 47 volte al destinatario. Una di queste volte, Hamsik ci ha costruito sopra il suo (gran) gol. È un’evoluzione importante, diciamo pure necessaria per il ragazzo di Frattamaggiore. Che potrebbe finalmente aver capito la storia dell’essere decisivo prima per la squadra, poi per il pubblico».

A quest’ultima frase, aggiungiamo una piccola postilla: «E per se stesso». Un piccolo post scriptum che vogliamo spiegare: non pensiamo che Insigne sia egoista. Un calciatore che l’anno scorso ha realizzato 12 assist non può esserlo. Il “se stesso”, in questo caso, è un’estensione del pubblico che ricade su di lui: è la voglia di essere sempre decisivo, determinante, la storia del nemo propheta in patria, cose così. Insomma, è una responsabilità di cui e da cui Insigne si sente investito. Come se ogni volta si sentisse in dovere di essere non solo utile, ma anche per forza pure bello e determinante. La colpa è un po’ di tutti: della costruzione mediatica su di lui, la storia di Del Piero e dell’unico grande talento uscito negli ultimi anni dalle giovanili; del pubblico, che fa parecchia fatica a perdonargli cose che invece, ad altri, vengono abbuonate; dello stesso Insigne, che quando decide di ottemperare a questa specie di obbligo alla bellezza diventa testardo, dribblomane, tiroagiromane. E poi, pure un po’ dei suoi procuratori. Che hanno sempre perseguito una gestione mediatica abbastanza pesante e presente del loro assistito. Che ultimamente stanno cercando di moderare un po’ i toni, ma vabbè. Insomma, una serie di cose e contingenze che un calciatore umorale come lui subisce.  E che, insieme ai periodi normalissimi di forma fisica e mentale (roba comune a tutti gli esseri umani), finisce per aggravare i momenti di crisi.

Come questo qui, o almeno sembrerebbe: sì, perché Insigne non segna dal 10 aprile scorso, dal rigore di Napoli-Verona. Volessimo fare i sadici perversi, potremmo dire che Insigne non segna su azione da Napoli-Milan 1-1, 22 febbraio 2016. Volessimo essere proprio cattivi, potremmo risalire all’ultimo gol pulito di Insigne, non su rigore e senza deviazioni strane: la splendida punizione del 31 gennaio 2016, Napoli-Empoli 5-1.

Il problema, che in realtà problema non è, anzi, è che a noi tutto questo non interessa. Per noi, Insigne non è in crisi. L’abbiamo scritto prima, lo ribadiamo e lo spieghiamo: Insigne è forte e importantissimo anche così, normale. Quando ripiega per assistere Ghoulam, quando gestisce bene i palloni che riescono a bypassare la linea di pressing degli avversari. Quando da sinistra pennella due assist in diagonale per il puntuale inserimento di Callejon dall’altra parte, o quando trova Hamsik nel corridoio per il gol del 2-0 contro il Chievo. Altro che non decisivo.

A noi, davvero, non importerebbe nulla se Insigne non superasse i 10 gol stagionali quest’anno. Nel caso dovesse continuare a sfornare assist così e a giocare così bene nelle cose semplici, Lorenzo Insigne va benissimo. Certo, ci rendiamo conto che Insigne ha doti e narrazione del grande calciatore, e quindi ha bisogno di fare cose eccezionali per essere davvero compiuto. Ci sarebbe poi il discorso sulla Nazionale e sul suo senso di ciliegina sulla torta, ma lì subentrano discussioni infinite di adattabilità tattica, modulo. Di “senso” vero e proprio riferito alla nazionale.

La tattica, appunto. In verità, la forza di Insigne è proprio lì. Prima che nel tiro a giro, prima che nel dribbling nello stretto. Insigne è indispensabile per l’interpretazione del ruolo di esterno offensivo che, da Benitez in giù, porta scritta nel curriculum. Non sorprenda il fatto che quest’anno il dualismo con Mertens sia accentuato, che viva di un’alternanza 50 e 50: l’addio di Higuain ha riscritto il modo di attaccare del Napoli, ha riempito la zona gravitazionale attorno al centravanti. Mertens, in questo, è più bravo perché più guizzante. Insigne è più accademico, più logico nella gestione della propria altissima qualità. Una roba che sta meglio accanto a Higuain piuttosto che a Milik. Almeno per il momento, perché tutto si sta evolvendo.

E allora, Insigne, prendi questo turnover tattico impostato da Sarri come una giusta prova dopo le meritatissime gratificazioni dello scorso anno. Consideralo possibilità per crescere ancora. Per affinare ancora di più il tuo campionario, per poterti evolvere in qualcosa che punti al sodo, come ieri sera. Non crucciarti del gol che non è ancora arrivato, perché nel frattempo sono arrivati tre passaggi decisivi tutti belli e difficili e che nessuno avrebbe fatto. Forse, proprio e soprattutto lo stesso Mertens. Insigne ha tutte le doti e le possibilità per accantonare la sua umoralità, per diventare decisivo in ogni partita con tante piccole cose normali fatte perfettamente. E poi c’è il grande colpo, che può sempre arrivare e che sarebbe salutato con l’applauso che diventa ovazione. L’atteggiamento di Insigne, ieri sera soprattutto, è quello giusto. La strada per crescere è proprio questa, la normalità che vuol dire continuità di prestazioni. Che può essere eccezionale, e pure decisiva. Anche da sola.

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