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Federico Buffa: «Napoli è una capitale fatta e finita. Genoa-Napoli? Sì, ma il nome di Ghoulam…»

Chiacchierata del Napolista con Federico Buffa, in città per l’inaugurazione di un playground a San Giovanni a Teduccio.

Federico Buffa: «Napoli è una capitale fatta e finita. Genoa-Napoli? Sì, ma il nome di Ghoulam…»

Il bar di Simone sta accanto alla chiesa. La stessa chiesa dove i miei genitori si sono sposati, dove io mi sono battezzato e dove mia sorella, più piccola di me di sette anni, ha fatto la prima comunione. Insomma, io vivo qui. Proprio qui. Simone, ad esempio: quando mi vede mi saluta, e mentre lavora parliamo in dialetto. Gli dico di servire perbene quell’uomo con la giacca e gli occhiali scuri che è appena entrato nel suo locale e ha ordinato un fagottino con la cioccolata. «Perché, chi è?», mi chiede. «Uno di Sky, Federico Buffa», gli rispondo. «Sì, la teneva una faccia conosciuta…».

L’istituto Sarria-Monti, dalle parti di San Giovanni a Teduccio, è una scuola importante. Storica. Federico Buffa, stamattina, è venuto nel cortile della succursale a inaugurare una cosa che per lui significa tanto. Forse tutto. Un playground di basket. L’iniziativa è voluta dall’associazione Charlatans Napoli, insieme con la onlus Darefuturo e il Comune di Napoli. Quello della Sarria-Monti è il primo di 17 campetti che saranno inaugurati in giro per la città.

Dal bar di Simone al campetto, io e Federico parliamo mentre camminiamo accanto. Avrò fatto quella strada, due minuti a piedi costeggiando la chiesa e poi il cancello del chiostro, migliaia di volte. Il paradosso è che mi sono sempre fermato lì. Non sono mai entrato in quella scuola, avendone frequentato un’altra non ne ho mai avuto il bisogno. Mi fa strano entrarci mentre faccio un walk to talk (Federico l’ha chiamata così, all’americana questa nostra intervista che in realtà è una chiacchierata) con l’avvocato Buffa. Nel mio simbolismo romantico, vorrei significasse qualcosa: l’inizio di un nuovo percorso professionale, magari lui che mi lascia il posto a Sky come storyteller. Non sarebbe male, se solo non fosse impossibile.

La prima domanda che gli faccio ha una postilla: “Io vivo qui, di fronte. Tu non sei di Napoli, ma vorrei che mi parlassi della Napoli che hai visto arrivando qui. Che cosa hai percepito?”. Federico risponde: «Io vengo dall’aeroporto, ho preso l’aereo. E ogni volta che atterro qui e poi vado in giro, mi rendo conto che devo per forza chiedere aiuto ai napoletani. Questa città ha dei dettagli meravigliosi, che se qualcuno non ti spiega rischi di perderteli, di rimanere senza qualcosa di bello e di importante. Pensiamo a palazzo Ottieri, che è lì e occlude la vista e c’è dietro un mondo, Le mani sulla Città. Poi, vuoi mettero il simbolismo? San Gennaro che fa tre in ogni statua, che ferma la lava. No, dai, è fantastico. E solo i napoletani possono guidarti».

Uno che (ri)scrive un’intervista, di solito, fa finta di sapere tutto quello che il suo interlocutore gli ha detto. Io lo ammetto, da napoletano: non conoscevo tutto quello che ha detto. Non me ne vergogno nemmeno, lui è Buffa. Però, la cosa che dice dopo la so: «Poi ti fai questo breve viaggio fino alla periferia orientale, studi un altro po’ la città e arrivi qui. Com’era la storia dei napoletani che ti devono guidare? Arrivo qui, a San Giovanni, e mi dicono che è appena iniziato il Miglio d’Oro, che ci sono le ville Vesuviane che danno sul mare. Questo posto è incredibile».

Si sta preparando per il colpo ad effetto, Fede. Per la frase che ti spiazza. Chi conosce i suoi speciali, come me, lo sa. Lo percepisce. «Questa non è una città, è una nazione fatta e finita. È una capitale, lo è stata e lo è ancora. E te lo dice uno che riconosce questa cosa perché arriva da un luogo che non è mai stato davvero attrezzato per poter essere una capitale». Federico Buffa è di Milano. Così, giusto per rendercene conto.

Dopo, iniziamo a parlare di calcio. Federico, qui, è meno sbottonato. Meno enfatico. Continua a parlare di quello che piace a lui. Il guaio, dopo, è che in realtà è quello che piace anche a te, perché ti ci riconosci dentro: «Ieri ho visto la partita da Carmine, il portiere di uno stabile. Aveva uno schermo televisivo che era un lato di casa sua, gigantesco. C’è un attaccamento, qui, per il calcio e per il Napoli che non ha eguali».

E sulla partita, Fede? Che mi dici? «Niente di eccezionale, così e così. Però poi c’è Ghoulam che da queste parti, a livello di pronuncia, ti permette cose che sono davvero bellissime». Figurati se non lo so, Federico, come si può declinare qui il nome del nostro terzino sinistro. Abito qui di fronte, ho una mezza idea. Un giudizio su Sarri, su quanto successo ieri sera: «No, non ho gli elementi per giudicare». Buffa, nel 2011, ha lasciato Sky Calcio Show perché «non è il mio contesto». Forse, questa cosa non è ancora cambiata. Meno male, mi viene da dire. 

Ci salutiamo, mi abbraccia. Lo ha fatto dopo che i miei complimenti per lo spettacolo sulle Olimpiadi del ’36, una roba di giugno che mi è rimasta in testa da allora. «Quando mi dicono queste cose, mi commuovo sempre». Un amico che mi ha accompagnato mi guarda invidioso. Forse pensa che sono un paraculo, forse ha un po’ ragione. Ma quello spettacolo, per me, meritava davvero i complimenti. E quindi, io meritavo quell’abbraccio.

Torno a casa e rifaccio la stessa strada di sempre. Un bel po’ dopo il bar di Simone, incontro un altro conoscente. È anziano, non lo incontravo da tempo, mi ha salutato quando sono passato per andare a intervistare Federico. Mi ha visto parlare con lui. «Ma chi era, quello?», mi fa. «Buffa. Uno di Sky, uno importante», gli rispondo. «Ah, eh. Puffa». Sorrido, saluto.

Napoli è una nazione, Napoli è una capitale fatta e finita. C’hai ragione, Federì…

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