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È il primo Napoli senza argentini dai tempi di Marcolin e Dionigi. Aspettando Icardi

Nessun calciatore rioplatense in rosa. Una svolta: dalla geniale improvvisazione sudamericana al pragmatismo europeo, polacco e slovacco?

È il primo Napoli senza argentini dai tempi di Marcolin e Dionigi. Aspettando Icardi
Db Milano 27/04/2019 - campionato di calcio serie A / Inter-Juventus / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Mauro Icardi

Per gli argentini gli italiani sono tanos. Il gentilizio deriva da napolitanos, come ad indicare quanto fu rilevante (numericamente e culturalmente) la migrazione napoletana verso il Rio de la Plata tra l’800 e il ‘900. Difficile prevedere che questo rapporto avrebbe trovato una schietta continuità nel calcio, passione profondamente condivisa dalla metropoli del Mezzogiorno e dallo stato sudamericano. Provato dalle bandiere argentine appese nei vicoli della città e dalla spiccata simpatia che i napoletani manifestano per l’albiceleste ad ogni competizione tra nazionali, il legame calcistico tra la terra della tarantella e quella del tango si può dire spontaneo e viscerale. Il Napoli è appunto considerata all’unanimità come la squadra più “argentina” d’Italia.

Ma quel filo rosso si è spezzato e Napoli e Buenos Aires oggi non sono più così vicine. Al momento la rosa azzurra non presenta infatti nessun argentino. Non succedeva da tredici anni, dalla stagione 2003/2004, quando in serie B si avvicendarono sulla panchina Agostinelli e Simoni per un magro tredicesimo posto. Il capitano era Marcolin, il bomber Dionigi (8 reti). L’annata precedente la Diadora ebbe l’idea di realizzare una divisa sul modello di quella della nazionale albiceleste e in campo trovava spazio (poco) El Turco Claudio Husain; quella successiva sarebbe arrivato invece De Laurentis e (insieme con lui) Roberto Sosa a far rifiorire la colonia.

Nessun erede sulla cancha, dunque, per il puntero vecchio stile El Pampa, per le furiose scorribande del Pocho Lavezzi, per la garra di Hugo Campagnaro, per l’incompiutezza del Flaco Fernández e per l’uomo del record di reti in A Gonzalo Higuaín. Tutti nel solco del principale artefice della relazione tra Napoli e Argentina: Diego Armando Maradona, el pibe de oro che dribblando la povertà di Villa Fiorito ha vinto in Italia lasciando un segno indelebile e (molto probabilmente) insuperabile nella storia della società partenopea.

Ma il Napoli sembra aver cambiato strada. Anzi, sembra aver lasciato la strada, quella considerata come la metafora del talento e del colpo di genio estemporaneo caratteristici del fútbol latinoamericano. Il sacrificio dell’estro spontaneo a favore dell’organizzazione rivela forse una strategia che vuole estendersi alle scuole calcistiche del nord del continente più che aldilà dell’Atlantico. Il Napoli di oggi è quello del capitano coraggioso Marek Hamsik, slovacco di 29 anni ormai già considerato una bandiera, e del nuovo arrivato Arkadiusz Milik da Tychy, Polonia. Due volti di quella che pare una squadra più votata al tatticismo e al pragmatismo europeo che all’improvvisazione e alla creatività latinoamericane. Del resto, come segnalato dagli Europei di Francia con le rivelazioni Galles e Islanda (al debutto con Albania, Slovacchia e Irlanda del Nord) il calcio ha allargato la sua geografia e non è detto che si debba andare a pescare sempre dalle stesse regioni.

Per dirla con le parole di Clementino: «Azzurra e bianca con il sole posto al centro della bandiera/somigli alla mia bella Napoli stasera», il drappo biancoazzurro molto probabilmente non smetterà di sventolare al San Paolo, anche senza rappresentanti in campo. Icardi permettendo, certo, l’acquisto che più di ogni altro vogliono i napoletani. Forse proprio perché argentino.

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