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Se Chianese, il “mostro” della Resit, fosse stato un imprenditore del Nord

L’imprenditore che si è fatto da sé è stato condannato a vent’anni, vittima sacrificale che monderà i campani da tutti i peccati.

Se Chianese, il “mostro” della Resit, fosse stato un imprenditore del Nord

Bene, i cittadini campani hanno avuto il loro capro espiatorio, la vittima sacrificale che li monderà da tutti i loro peccati ambientali, da tutte quelle piccole o grandi offese che quotidianamente arrecano all’ambiente. Ora potranno continuare a costruire case abusive, a bruciare boschi, ad abbandonare rifiuti in modo incontrollato, a circolare con mezzi inquinanti, a scaricare abusivamente nei corsi d’acqua (quelli veri, non nel Cellariello), nelle falde e nel mare, perché il vero responsabile del “disastro ambientale” è in cella, non potrà più nuocere all’ambiente. Ora non ci resta che bonificare e ricominciare daccapo.

Si, perché quattro ettari di discarica, 40.000 metri quadrati, su una superficie della sola provincia di Napoli di oltre 1.110 km2, 1.110.000.000 di mq, un solo uomo, su oltre tre milioni, hanno causato il “disastro ambientale” con annesso “biocidio”. Finalmente potremo vivere tranquilli: il “mostro” è in cella, pagherà per tutti.

Cipriano Chianese è stato condannato in primo grado a venti anni. È stata una condanna assai sofferta, visti i tempi di camera di consiglio molto più lunghi rispetto a quelli previsti, è stata e resta una condanna controversa basata su un disastro ambientale ed un avvelenamento delle acque sostenuti dal solo consulente tecnico di parte della Procura e confutati non solo dai consulenti tecnici della difesa, ma anche da Istituto Superiore della sanità e ministero dell’Ambiente tramite la sua società in house Sogesid e, direi, anche dal semplice buon senso.

Ma, tant’è, non si è voluto creare un conflitto interno alla magistratura: la storia si ripete.

Molti ricorderanno il caso Tortora, il famoso conduttore televisivo tirato in ballo in una storia di camorra da pm che omisero di valutare i fatti a favore dell’imputato. Anche allora la pressione mediatica fu violenta, anche allora si temette di delegittimare la magistratura che lotta la camorra.

Ma, allora come oggi, a danno di un singolo. Tortora, però, era un personaggio pubblico, famoso e benvoluto da una consistente fetta della popolazione, che si divise in “innocentisti” e “colpevolisti”. Leonardo Sciascia ebbe a dire: «Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. È come scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto».

Chianese era (si, ormai dobbiamo dire “era”) un imprenditore di successo, un innovatore nel settore del trattamento rifiuti, un uomo arricchitosi con la sua attività imprenditoriale e che aveva risalito la scala sociale entrando in confidenza con ministri, imprenditori e politici di livello nazionale. Chianese non proviene da una famiglia ricca da generazioni abituata al benessere, la ricchezza e il benessere se li era conquistati con la forza del carattere, dell’intelligenza e con indubbie capacità imprenditoriali.

Era anche uno spaccone che ostentava, a volte in modo anche beffardo, la sua “odiosa” ricchezza, come tanti che venendo da una storia di condizioni modeste (il padre era un contadino) hanno avuto la forza e le capacità per emergere ed arricchirsi e vivono questa nuova condizione come un qualcosa di straordinario da mostrare agli altri.

Chianese, il Cavaliere del Lavoro Cipriano Chianese era, dunque, un personaggio che attirava a sé la nostra provinciale “invidia sociale”, cui non si riconoscevano le capacità ma su cui, nella nostra pochezza culturale, si spettegolava sospettando imbrogli e malefatte dietro il suo arricchimento.

Pensate un po’ se si fosse fatto lo stesso per imprenditori quali gli Agnelli, i Ferrari, i Della Valle, i Ferrero etc. cosa sarebbe oggi l’Italia. Sarebbe quello che è la Campania: una regione che vive di sussidi pubblici, una regione di disagio sociale in cui si consuma e non si produce ricchezza, una regione che, se fosse uno Stato autonomo, avrebbe fatto da anni la fine della Grecia o peggio.

Dunque un personaggio che, al contrario di Tortora, non attira simpatie.

Una persona dipinta come un mostro, il peggiore dei peggiori, di cui circola da anni un’unica fotografia scattata all’alba del suo primo arresto, una fotografia che lo ritrae in un atteggiamento non naturale, vista la situazione e che, con le consuete manipolazioni mediatiche, è stata accostata, di volta in volta, alla scena del seppellimento di fusti tossici del film gomorra, ad immagini di incendi di rifiuti o di discariche. Il che non ha potuto far altro che creargli ulteriore antipatia direi, addirittura, odio.

Dopo la sentenza (di primo grado, ricordiamo), Cipriano Chianese è stato addirittura arrestato per un presunto “pericolo di fuga” che, secondo i giudici, potrebbe consentirsi grazie al suo “ingente patrimonio” (interamente e completamente confiscato), lui che in sei anni di arresti domiciliari non ha mai commesso una mancanza, che è stato presente a tutte le circa duecento udienze del processo con atteggiamento educato e rispettoso senza mai un accenno di intolleranza se non una volta nei confronti di due pentiti, peraltro imputati in procedimenti connessi, che riteneva lo calunniassero, accenno per il quale si è preso un’ulteriore denuncia da parte del pm per “oltraggio a pubblico ufficiale” (sic!).

Pare sia stato un omaggio alla vedova Mancini, il poliziotto morto di leucemia che, come da lui stesso dichiarato nell’udienza del 16 gennaio 2016 (ah, se i commentatori dei giornali autoctoni avessero letto gli atti prima di lanciarsi in commenti!), non ha avuto alcun ruolo nel processo Resit, che conosceva la discarica solo per averla sorvolata in elicottero una volta ed ai rappresentanti della galassia ambientalista presenti alla sentenza ma mai durante il dibattimento.

Oggi, in seguito all’arresto seguito alla sentenza, circola una fotografia che lo rappresenta per quello che è: una persona mite che sta vivendo con grandissima forza e dignità questa sua disavventura.

Vi sono due celebri frasi che pronunciò Enzo Tortora nel periodo che lo vide coinvolto nel processo rivolte ai giudici:

“Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”;

“Io credo che voi siate impegnati in una difesa corporativa. Volevate difendere la vostra cattiva fede”.

Non aggiungo altro.

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