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I tifosi del Napoli davvero vorrebbero il modello Arsenal? Siamo dubbiosi

I tifosi del Napoli davvero vorrebbero il modello Arsenal? Siamo dubbiosi

Il problema delle strutture. Le parole al veleno di Nicolas Higuain hanno rialzato il velo su uno dei capisaldi della critica al Napoli: i mancati investimenti su stadio, centro sportivo e per le giovanili. Il Napoli di De Laurentiis, al 30 giugno del 2016, non possiede valori immobili di proprietà. E questo è un fatto, è parte di una strategia ben definita che fa del player trading e dello sfruttamento economico dei risultati sul campo (diritti televisivi, premi di partecipazione alla Champions) il suo punto di forza. 

Secondo alcuni, anche secondo chi scrive, il Napoli non dovrebbe dar via Higuain. Una cessione forzata, però, aprirebbe il dibattito su come utilizzare la cifra incassata. Data la più ampia scelta di soluzioni, tra mercato e altre forme di investimento, qui i partiti sono molteplici. Marco Bellinazzo, in un’intervista pubblicata oggi sul Corriere del Mezzogiorno, invita il club di De Laurentiis a vendere il Pipita, anche per 80 milioni, e a differenziare il reinvestimento: «Metà per un sostituto all’altezza o quasi, trenta milioni più l’ingaggio, e un’altra metà per la costruzione di un centro sportivo». 

Con quaranta milioni si allestisce una piccola astronave calcistica in cui, Bellinazzo docet, «allevare i talenti calcistici del prossimo decennio. Fare reddito». In effetti, sarebbe un investimento intelligente. A lunga scadenza, ma intelligente. Forse è l’ipotesi “più sensata” per prepararci a vincere. Ma vincere davvero, non una volta e basta. O meglio: per rimanere stabilmente ai vertici, aumentare e consolidare il fatturato. 

Poi, però, viene in mente il precedente di una squadra che si è volutamente sacrificata sul mercato pur di assecondare un’altra scelta di investimenti. Non parliamo della Juventus, che rappresenta un caso unico in Italia: per storia, ma soprattutto per fatturato e capacità di investimento, il club bianconero non ha eguali a livello nazionale. Partiva da una posizione di supremazia rispetto non solo al Napoli, ma a tutte le altre. Lo Juventus Stadium non ha fatto altro che consolidare questo primato, eppure ha comportato anni difficili in classifica prima dell’inaugurazione. Quella di Ranieri-Ferrara-Zaccheroni-Delneri, se ci pensiamo, è l’era immediatamente precedente all’apertura dell’impianto. Anche la Juventus, dominante e dominatrice in Italia, ha patito un po’ questa sua scelta. Poi è esplosa, e ora investe di nuovo sul mercato e intanto accresce il suo parco-strutture. Gestione perfetta, ma partendo da un background di superiorità che il Napoli non possiede.

Facendo le dovute proporzioni, il precedente più vicino al Napoli è quello dell’Arsenal. “Fare le dovute proporzioni”, in questo caso, vuol dire traslare la contiguità della situazione azzurra rispetto ad altre squadre italiane (Juve esclusa) ai massimi livelli della Premier League, in cui la ricchezza è omogeneamente (e largamente) distribuita. Nel 2004, il club londinese è campione d’Inghilterra in carica e annuncia la costruzione dell’Emirates. Un investimento da 390 milioni di sterline, finanziate tutte prelevando fondi dalle casse della società. Un salasso necessario, perché la leggenda di Highbury racconta storie ormai obsolete per il calcio degli anni Duemila. Ebbene, cosa succede? Semplice: Wenger l’ha spiegato mille volte, l’Arsenal è costretto a rientrare nei ranghi e a costruire squadre al ribasso. 

Leggere lo storico del mercato dei Gunners in quegli anni è eloquente. Calciatori venduti: Vieira, Ashley Cole, Henry, Hleb, Adebayor, Touré, Eduardo, Fabregas, Nasri, Clichy, Van Persie e Song. Dal 2006 al 2013, tre sole stagioni di trasferimenti in disavanzo, e per cifre irrisorie (29 milioni in tutto). Il resto è tutto incasso-cessioni, sono tutti soldi utilizzati per ripianare le perdite causate dalla costruzione dell’Emirates. Solo nel 2013 il ritorno all’investimento importante per potenziare l’organico, mentre gli altri club hanno costruito gli squadroni. Basti pensare a Manchester City, Chelsea, Manchester United. Anche al Tottenham. Il primo trofeo dopo il titolo del 2004 e la Fa Cup del 2005 è un’altra Fa Cup, quella del 2014. Nove anni di digiuno, per l’Arsenal, sono una cosa grossa. Nel frattempo, i Gunners si sono sempre qualificati alla Champions. Eppure hanno dovuto vendere. Eppure non hanno vinto nulla.

Pensate se, nel suo piccolo, anche De Laurentiis decidesse di agire così. Di vendere Higuain, di acquistare uno o anche due attaccanti da quindici milioni (chessò, Immobile e Pavoletti), un paio di centrocampisti di medio livello. E poi di prendere il resto e costruire un bel centro sportivo a Capodichino, dietro l’aeroporto, oppure a Pompei o Torre del Greco, sfruttando uno dei tanti terreni liberi della zona. A un passo dalla città, ma lontano abbastanza per stare tranquilli e crescere al meglio gli Insigne di domani.

I tifosi napoletani sarebbero contenti? Alcuni sì, altri decisamente no. E parliamo di un centro sportivo, pensate se allargassimo il discorso a uno stadio vero, di proprietà, su cui investire capitali che il Napoli, in questo momento, non possiede. E non possiederà mai, pure al netto delle difficoltà burocratiche che esistono a Napoli e pure nel resto d’Italia, e basta volgere lo sguardo a Roma per capire di cosa parliamo. I tifosi azzurri sarebbero pronti ad accettare e sopportare quattro-cinque anni di assestamento, magari senza Europa (il Napoli è ininterrottamente nelle competizioni internazionali dal 2010), pur di costruire qualcosa del genere? Sembra un’ipotesi abbastanza fantasiosa. Se i tifosi o i Nicolas Higuain di turno sparano sulla mancanza di strutture e, insieme, pure sulla mancanza di “acquisti da scudetto” sono profondamente irrealisti. Il Napoli e De Laurentiis non possono permettersi entrambe le cose. Neanche l’Arsenal (l’Arsenal!) c’è riuscito. E lamentarsi a distanza di investimenti mancati che si potevano fare nel 2007 o nel 2008, significa dire “ok, allora potevamo aspettare di ritornare a giocarci la qualificazione in Europa, anzi in Champions, ogni stagione”.

Bisogna scegliere, bisognava scegliere. All’Arsenal l’hanno fatto, alla Juve non ne hanno avuto bisogno se non per un periodo limitato. E noi? Siamo pronti a farlo?

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