ilNapolista

Il Real vince grazie al talento, all’Atletico è mancato il coraggio

Il Real vince grazie al talento, all’Atletico è mancato il coraggio

Real Madrid-Atletico è stata una partita difficile da inquadrare, analizzare e “spiegare” dal punto di vista del gioco. Ecco perché abbiamo deciso comunque di farne un’analisi tattica. Come quelle che, durante la stagione, hanno accompagnato il Napoli di Sarri. Ci piacciono le cose difficili, ma la verità è che chi scrive sentiva troppo la mancanza di raccontare a modo suo, ovvero con un mix di numeri e sensazioni, una partita di calcio.

Scherzi a parte, bisogna partire da un punto fondamentale. Ieri sera si è giocata, poù che “una” partita di calcio, “la” partita di calcio. Quella tra il talento e l’organizzazione. Poche altre volte, nella mia vita di appassionato, ho potuto notare una tale differenza di approccio al gioco. Da una parte una squadra bellissima, fortissima, ma messa in campo (e allenata) con un metodo più vicino al fantacalcio e alla Playstation che alla realtà; dall’altra, un vero e proprio esercito di marionette, undici calciatori (più riserve) in grado di farsi muovere sapientemente da un progetto tattico anche troppo coerente, che non prevede variazioni sul caso. Alla fine, ha vinto il talento. Con vivo rammarico di chi ama un certo tipo di calcio, ma con la rinnovata certezza che solo i grandi calciatori vincono le partite. 

La spiegazione e la verifica di questa teoria è tutta nella divisione “a momenti” della partita. Prima parte di gara tutta del Real, che sfrutta la freschezza atletica dei suoi mostri pallonari (in senso buono, si capisce) per stordire l’Atletico con buone azioni e movimenti migliori in campo. In alcuni momenti della prima mezzora, la squadra di Zidane occupa benissimo il campo e crea un buon numero di situazioni pericolose: il gol, certo, ma anche altre 4 conclusioni verso la porta e 3 occasioni potenziali. Oltre al 67% dei duelli vinti e all’84% di pass accuracy contro il 76% di un Atletico sorpreso dal gioco veloce degli avversari. Che, però, erano giocoforza destinati a perdere questa brillantezza con il passare dei minuti. Dalla mezzora al 45esimo, la squadra di Simeone prende le misure alla partita (3 conclusioni verso la porta, altrettante occasioni da gol potenziali, 6 palle recuperate) e poi esplode nel secondo tempo, grazie all’inserimento di un calciatore capace di scombussolare il piano tattico: parliamo ovviamente di Ferreira Carrasco. Sotto, il campetto posizionale del belga, che dalla sinistra mette in difficoltà il dirimpettaio Danilo (subentrato nel frattempo all’ottimo Carvajal) e colleziona due tiri, tre cross, un key passes e sei duelli one-to-one vinti (su 10 tentativi). Niente male.

A questo punto, la partita si gioca ad armi pari. L’Atletico abbandona ogni velleità difensiva (è sotto 1-0, come potrebbe continuare?), inizia a dominare il gioco ma perde compattezza tra le linee. E quindi, il match si apre. Da una parte il Real, che soffre la supremazia dei Colchoneros e agisce solo (male) in contropiede. Dall’altra, un Atletico che perde le misure in campo ma si slega dal piano partita e lascia ai suoi uomini di talento la possibilità di esprimersi. I numeri del secondo tempo raccontano di questo sottile equilibrio: 10 tiri a 9 per l’Atletico, stesso numero di occasioni costruite (7) e 8 duelli individuali vinti per squadra. Però, c’è anche altro, come ad esempio la pressione offensiva. Che non è un dato oggettivamente misurabile, ma che comunque premia la squadra di Simeone: lo leggi, in qualche modo, dal numero di interventi difensivi a cui sono costretti i calciatori di Zidane, che rubano 12 palloni (a 2), di cui 10 nella propria metà campo, e ne spazzano altri 15 (a 8) nel corso della ripresa. Come dire: difficile difendere quando i tuoi avversari attaccano, se non attraverso ripartenze sporadiche. Quindi, nella seconda parte, meglio l’Atletico. Che però ha il torto, nei supplementari, di tirare i remi in barca. Stanchezza, certo, ma forse anche mancanza di coraggio.

Simeone smette di giocare subito dopo il triplice fischio, l’Atletico retrocede e i tiri in porta diventano 11 a 2, nella sola mezzora dei supplementari, a favore del Real. Sotto, il grafico con tutte le conclusioni dei calciatori di Zidane nella mezzora che porta ai rigori. Dove non esistono analisi tattiche, ma solo emozionali. Tutti perfetti fino a Juanfran, che rispetta in qualche modo la regola storica e colpisce il palo pur essendo stato tra i migliori in campo. Il peggiore in assoluto, Cristiano Ronaldo, tira il quinto e decisivo penalty del Real. E fa gol. No, non c’è giustizia.

Il resto dell’analisi vive ovviamente sulle prestazioni dei singoli calciatori. Da una parte, da sottolineare l’assoluta necessità della prestazione di Casemiro, che è probabilmente l’unico elemento realmente tattico della squadra di Zidane. Il brasiliano, uno che anche Benitez nel suo periodo merengue schierava praticamente sempre, ha tenuto in piedi da solo la baracca difensiva: 3 palle intercettate, 7 azioni difensive per spazzare il pallone, altri 4 palloni bloccati tra tiro e passaggio e il 100% di duelli aerei vinti contro i calciatori di Simeone. Il brasiliano è stato una vera e propria diga, e ci ha messo vicino pure un buon 91% di passaggi riusciti. Tutta roba elementare, sia chiaro, ma sempre fondamentale per l’equilibrio garantito alla squadra.

Dall’altra parte, è invece da registrare e mettere su dvd didattici la prestazione di Gabi, capitano, anima e assoluto comandante in campo della squadra di Simeone. Un calciatore completo, determinante in entrambe le fasi, dal recupero palla fino alla costruzione del gioco e pure dell’azione offensiva. Lo leggi nei numeri: 6 palle intercettate, 2 recuperate, 88 palloni giocati. Ma pure questa roba qui, in occasione del gol. Gabi è il calciatore che lancia Juanfran sulla destra. Non serve aggiungere altro. 

View post on imgur.com


Alla fine, la vittoria di Zidane e dei suoi può dirsi meritata alla luce di quanto accaduto, nel tabellino, durante la serata di San Siro. Anche perché, come detto, l’Atletico ha preferito tirare i remi in barca proprio nel momento in cui, dopo il pareggio, poteva fare in qualche modo prevalere (ancora di più) la sua maggiore organizzazione tattica, fondamentale per sopperire alla comprensibile stanchezza di una partita giocata il 28 maggio. Appena sopra abbiamo voluto specificare che il merito della vittoria merengue sta solo nel tabellino, perché sull’organizzazione di gioco non c’è stata partita. Questo, però, non ha portato a una netta predominanza nelle occasioni da gol. Oppure sì, ma solo nel periodo in cui l’Atletico è stato più libero di esprimersi senza dover pensare troppo a non prenderle. Certo, non è facile pensare di giocarsela a viso (sempre) aperto quando sei l’Atletico e di fronte hai il Real Madrid. Quindi, capiamo anche Simeone. Però, alla fine, ha vinto il talento. E ha perso un’organizzazione reale, ma a volte (e nel momento chiave, ieri sera) troppo rinunciataria. La vittoria del pallone, la sconfitta del calcio. Del resto, l’allenatore del Real Madrid era Zidane, ieri sera. Forse, non poteva proprio andare diversamente.

ilnapolista © riproduzione riservata