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Ranieri, il Leicester e il “negative approach”

Ranieri, il Leicester e il “negative approach”

Che poi ‘sta cosa un po’ snob che chi ama davvero il calcio avrebbe dovuto tifare Tottenham io proprio non la capisco…

A parte il fatto che per me gli Spurs sono il Male, da tifoso dell’Arsenal (oltre che del Napoli, ovviamente), ma il calcio – per fortuna – non è fatto soltanto di tecnica pura, spesso fine a se stessa e un po’ frivola. È fatto – per fortuna – anche di agonismo, forza di volontà, consapevolezza tattica, intelligenza nell’esaltare i propri punti di forza e minimizzare quelli deboli, o presunti tali.

Il più importante pubblicitario del Novecento, il newyorkese Bill Bernbach, rivoluzionò negli anni Cinquanta l’approccio stesso nei confronti della pubblicità, grazie a un modus operandi poi definito “negative approach”. In poche parole, si trattava di prendere un punto debole del prodotto da pubblicizzare e rovesciarlo di senso, fino a trasformarlo in un punto di forza. È così che nacquero campagne epocali come, per esempio, quelle per il “mitico” Maggiolino della Volkswagen (che divenne “mitico” proprio grazie a Bernbach): un’automobile piccola e un po’ goffa in un mercato dominato dai macchinoni cromati di General Motors, Ford e compagnia. Ebbene, proprio perché più piccolo, il Maggiolino era anche più facile da parcheggiare, consumava meno, eccetera. E fu così che lo slogan pubblicitario “Think Small” divenne una sorta di nuova ideologia in una nazione malata di gigantismo.

Col suo Leicester City, da ieri sera campione d’Inghilterra al termine di una tra le stagioni calcistiche più sorprendenti dell’intera storia del gioco, Claudio Ranieri ha ragionato più o meno come fece all’epoca Bernbach: “Non siamo bravi tecnicamente come i nostri avversari? Allora è inutile fare possesso palla per noi rischioso. Molto meglio farci attaccare, farli scoprire e poi colpirli con i nostri velocissimi contropiede”. È su questa ricetta semplice e straordinariamente redditizia, in un calcio tutto votato all’attacco e al dominio dell’avversario com’è quello inglese, che le Foxes hanno costruito il loro incredibile trionfo (perché di trionfo si tratta, dato che hanno vinto la Premier League con due giornate d’anticipo): difesa di ferro, condizione atletica straripante, tanta corsa e pressing feroce, ripartenze supersoniche capaci di tagliare il campo con due-tre passaggi e portare al gol in pochi secondi.

Gli uomini-simbolo di questa ideologia calcistica assimilabile a un’altra celebre campagna pubblicitaria bernbachiana (quel “We Try Harder”, “Noi ci mettiamo più impegno”, ideato per la società di autonoleggio Avis) sono l’ottimo portiere figlio d’arte Kasper Schmeichel, i due rocciosi centrali difensivi Morgan e Huth, il tuttocampista mille polmoni Kanté, il geniale e discontinuo fantasista Mahrez (eletto miglior giocatore della Premier) e, naturalmente, il centravanti-miracolo Jamie Vardy, autentico Speedy Gonzales proletario. Con questi uomini e col fosforo di Drinkwater, con la capacità di sacrificarsi di Okazaki, col tempismo di Ulloa, con la generosità dei vari Simpson, Schlupp, Fuchs e via citando, un allenatore preparato, serio, pragmatico come Claudio Ranieri è riuscito scrollarsi di dosso nel più incredibile dei modi l’ingiusta etichetta di eterno secondo, costruendo il capolavoro (finora) della sua carriera. E la Premier League vinta dal suo Leicester City, davanti a club potenti come lo stesso Tottenham, il Manchester City e lo United, l’Arsenal, il Liverpool, i campioni uscenti del Chelsea, risarcisce l’allenatore romano di quei secondi posti che, agli occhi di troppi osservatori superficiali, rischiavano di oscurare i trofei comunque già presenti nel suo palmarès anche prima di ieri sera.

Il Ranieri neo-campione d’Inghilterra, infatti, è lo stesso del primo Napoli de-maradonizzato che con Zola e Fonseca arrivò al quarto posto e andò a vincere 5-1 a Valencia in Coppa Uefa (con cinquina dell’attaccante uruguayano), o quello della bella Roma superata soltanto sul filo di lana dall’invincibile Inter di Mourinho, o ancora quello che ha portato il Chelsea pre-Abramovic alla semifinale di Champions League e alla piazza d’onore in Premier, o che ha saputo qualificare alla Champions le neo-promosse Juventus (quella del dopo Calciopoli) e Monaco, per non parlare delle coppe nazionali vinte in Italia e Spagna e dei tanti titoli conquistati nelle categorie minori. Perché, va detto con chiarezza, in rapporto ai mezzi a disposizione in partenza e alle ambizioni e possibilità dei vari club, Ranieri i suoi obiettivi li ha raggiunti quasi sempre, molto spesso attraverso il bel gioco e valorizzando il parco giocatori a disposizione.

Dunque, applausi sinceri per il Tottenham, squadra giovane e piena di talento, che certamente farà parlare di sé in futuro; applausi sinceri anche per il suo ottimo allenatore, Mauricio Pochettino, che sta portando avanti un lavoro fantastico e che ieri sera, al fischio finale, s’è distinto per dichiarazioni da autentico uomo di sport. Ma quest’anno la Premier League la meritava senza ombra di dubbio il Leicester City di Claudio Ranieri, per il cuore, la volontà, la “fame” di successi e la poesia vintage dei suoi velocissimi contropiede. E anche perché il successo lo ha costruito vincendo la maggior parte degli scontri diretti e perché – ne sono convinto – nel match decisivo della stagione non si sarebbe mai fatto rimontare un vantaggio di due gol, come accaduto, invece, ieri sera agli ancora acerbi rivali di North London.

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