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Mourinho allo United, Guardiola al City: prepariamoci alla nuova guerra dei mind games

Mourinho allo United, Guardiola al City: prepariamoci alla nuova guerra dei mind games

«Chiunque pensava che già fossimo senza speranza nella morsa del culto dell’allenatore di calcio: non ha ancora visto niente». Si apre così il commento di Jim White apparso sulle colonne del Telegraph e significativamente intitolato “Premier League egos have landed – and they are ready to rumble”.

L’arrivo di Mourinho e Guardiola restituisce smalto ad un campionato che, a detta di molti, ha séguito unicamente in virtù dell’ampia disponibilità economica e della conseguente capacità di acquistare i migliori giocatori; ibeautiful accident del Leicester, per quanto straordinario e romantico, è il segnale di una Premier non perfettamente in salute.

A scorrere le prime pagine dei giornali inglesi sembra che gli addetti ai lavori non aspettassero altro, il “dilly ding dilly dong” di Ranieri, unitamente alla sua force tranquille, è un’anomalia. Quella tra Mourinho e Guardiola sarà una sfida nella sfida – entrambi per ragioni diverse sono in cerca di riscatto, così come lo è la città in cui andranno ad allenare – l’atto secondo di una guerra civile che va avanti da diversi anni, un aspro confronto dialettico condito da un quasi duello fisico.

Quello che, con buona dose di retorica, viene considerato il “campionato più bello del mondo” si appresta a vivere una stagione entusiasmante. E’ bene sottolineare che la questione non è squisitamente tecnica, il loro valore è fuori discussione, ma è principalmente di natura mediatica.

Secondo quanto scrive Marina Hyde sul Guardian, uno degli aspetti più gradevoli della scorsa Premier League è stato lo scarso utilizzo dei mind games, ovvero «il concetto dei media che cerca di elevare uno scarso livello manageriale alle complesse altezze del rischio calcolato da Guerra Fredda […] E’ stato bello finché è durato. L’avvento di Pep Guardiola e Josè Mourinho a Manchester rischia di creare un punto di non ritorno dei mind games, un buco nero in cui si è ingenuamente adescati, dove tutta la razionalità dei commenti verrà aspirata».

C’è chiaramente grande attesa intorno a questo attritional antagonist, la Hyde prova invidia per la resistenza di coloro i quali non vedono che la Premier ricominci e riflette : «Se solo noi potessimo entrare in un’era di allenatori che ostentatamente riconoscano la dignità dei rivali […] pur essendo impegnati in un combattimento mortale entrambi trovino il tempo di elogiare la tecnica dell’altro». E cita come esempio da seguire “La storia fantastica” con il duello tra Inigo Montoya e l’uomo in nero, certo – ammette – con qualche piccolo aggiustamento, ma «sarebbe una base molto soddisfacente per i duelli in conferenza stampa tra Mourinho e Guardiola […] molto più sopportabile per tutti noi».


Al di là del sogno utopistico della Hyde, bisognerà verificare prima di tutto lo stato di salute dei due contendenti.

Nel triplete con l’Inter sembra risiedere l’apogèo di Mourinho che dal quel momento, chi scrive è perdutamente innamorato del filosofo di Setúbal, sembra aver iniziato una lenta parabola discendente dopo oltre un decennio sulla cresta dell’onda.

A Madrid è stato logorato dall’estenuante duello con il Barça e dall’impossibilità di portare a termine il compito per cui era stato ingaggiato: la Décima. Il suo ritorno a Londra è servito a lenire e cicatrizzare le ferite spagnole inferte dall’uterino pubblico madrileno (sorvolando sul rapporto odi et amo con lo spogliatoio delle merengues, CR7 in testa) ma anche qui – dopo aver fermato la corsa del Liverpool, stravinto un campionato e raggiunto una semifinale di Champions – è stato colpito dalla third season syndrome. Una stagione iniziata con la sconfitta in Community Shieldgestita mediaticamente à la Mourinho, poi lo scontro con la Carneiro, quindi culminata con l’esonero.

A giudicare dalle foto che circolano in questi giorni, Mourinho sembra fiaccato dalle tante battaglie fatte, molte vinte e altre perse. Forse solo il suo alter-ego può riportarlo agli antichi fasti: «In Germania scherzavano lo scorso fine settimana circa le lacrime di Pep Guardiola, che non derivavano dalla tristezza per la sua partenza dal Bayern Monaco, ma piuttosto per la disperazione che Josè Mourinho stava per essere nominato tecnico dello United».

Il temperamento di Guardiola è noto, nel caso chiedere allo staff medico del Bayern, ma forse nessuno lo irrita più di Mourinho. Anche Pep trarrà nuova linfa dall’incontro con il suo eterno rivale – i tre campionati vinti in scioltezza non compensano le cocenti eliminazioni in semifinale contro Real, Barça e Atletico – l’esperienza in chiaroscuro al Bayern ha evidenziato alcuni limiti del tiki-taka, duramente criticato da Beckenbauer ed altri. Il Messia, come lo chiama il Telegraph, però è «un manager che non ha mai fallito, le sue qualità messianiche saranno testate come mai prima d’ora nel suo nuovo lavoro».


Entrambi sanno che devono molto all’altro, come scrive James Ducker: «la narrazione è spesso caratterizzata da santi puristi [Guardiola, Lionel Messi talenti di casa e Barcelona’s way] contro le forze machiavelliche [Mourinho, la macchina dei media madrilena e la squadra dell’establishment con i loro gigante libretto degli assegni] che, forse in maniera conveniente ignora Barcelona’s tendency to mob referees ed i pesanti investimenti del club catalano nel transfer market».

Siamo certi che i due non ci deluderanno, el duelo en la Cityinizia ufficialmente il 25 luglio in amichevole a Pechino, ma molto probabilmente – come sostiene Ducker – i mind games cominceranno molto prima.

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