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Giulierini (Museo Nazionale): «Una mosca la troverei anche al Metropolitan. In Italia c’è una burocrazia impensabile in America»

Giulierini (Museo Nazionale): «Una mosca la troverei anche al Metropolitan. In Italia c’è una burocrazia impensabile in America»

Quella mosca così come le critiche mosse da Caroline Howard, ex curatrice del Metropolitan Museum, non sono passate inosservate da Paolo Giulierini direttore del Mann il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ha risposto al Corriere del Mezzogiorno che ha ripreso la vicenda, e noi lo abbiamo incontrato all’Università Federico II dov’era per la firma di una convenzione con la facoltà di Giurisprudenza di Napoli per una consulenza legale che studi la legislazione italiana in materia e agevoli il museo nello snellimento della burocrazia. Perché Giulierini, così come già De Laurentiis qualche giorno fa per le città in generale, individua nella burocrazia e nella cavillosità della legge italiana uno degli ostacoli alla crescita e allo sviluppo dell’attività museale.  

La Convenzione con il Mann sarà coordinata dal professore Alberto Lucarelli, dal professore Giovanni Leone e dalla dottoressa Daniela Savy. «Una consulenza di dodici mesi per un importo di 30.000 euro – spiega il professor Alberto Lucarelli – che darà la possibilità di coinvolgere anche gli studenti, così come già avvenuto con la convenzione con la Gesac e ci permette di attuare la cosiddetta terza missione dell’università, cioè quella di collocarsi in modo attivo sul territorio e collaborare per la migliore fruizione dei beni comuni, in questo caso il museo».

Il nostro obiettivo, però, è Giulierini. Che si concede volentieri e rispondere alle osservazioni che gli sono state mosse. «Preciso che non mi sono offeso, certo è assurdo parlare di una mosca al museo, sono sicuro, come ho detto, che la troverei anche al Metropolitan. Ma non mi interessa far polemica, sui social ho anche ironizzato: la mosca era stata prontamente catturata nel pomeriggio».

Il direttore prosegue: «Preferisco che parlino i fatti, anche se è presto per vedere chissà quale cambiamento. Ma accolgo volentieri le critiche costruttive perché c’è sempre bisogno di imparare. Solo che sappiamo bene che non è la prima impressione quella che conta, lei mi incontra oggi in giacca e cravatta, ma se mi incontrasse domani con la giacca a vento non sarei più la stessa persona? I giudizi avventati a volte servono solo a creare confusione invece che a migliorare. In primo luogo non è possibile mettere a confronto due realtà diverse come il Metropolitan o qualsiasi altro museo americano e l’Archeologico. In America funziona tutto diversamente, è tutto privato e c’è più libertà d’azione. E questo la signora dovrebbe saperlo. Qui se desidero per esempio cambiare le divise dei dipendenti non posso chiamare Marinella che vuole sponsorizzarmi e risolvere la questione in pochi giorni. Sono costretto a creare un bando specifico, è una forma di tutela tutta italiana che non fa che complicare le cose. Proprio per questo abbiamo chiesto la consulenza della facoltà di Giurisprudenza, perché  studiassero la legislatura in materia e ci preparassero i bandi. È chiaro che una volta avuti li useremo per ogni cosa. In America invece alzano il telefono e chiedono uno sponsor e il giorno dopo agiscono».

Gli chiediamo allora con chi si potrebbe fare il paragone. «Potremmo farlo con Capodimonte, con l’attenuante che Bellenger è straniero e conosce ancora poco le regolamentazioni della burocrazia italiana forse, perché sono due realtà museali che hanno le stesse limitazioni in termini di gestione».

Giulierini definisce «scorretto o meglio non pertinente alla realtà italiana soffermarsi a parlare della luce o della mosca, perché stanno avvenendo cambiamenti importanti con l’avvento di alcune figure professionali a capo delle realtà museali, nuovi direttori che hanno un approccio diverso e innovativo rispetto alle figure conservatrici del passato. Non voglio parlar male di chi mi ha preceduto e può accadere che anche io non sia all’altezza, ma ben venga il cambiamento che sta avvenendo. Dopo di me magari ci sarà un altro che farà ancora meglio e me lo auspico, ma noi siamo quelli che stanno aprendo la strada e ci troviamo ad affrontare una serie di difficoltà, perché cambiare è sempre difficoltoso».

Gli facciamo notare che la signora Howard ha parlato con l’animo di chi ama l’arte ma anche di chi conosce il mondo dei musei. E Giulierini non simostra granché d’accordo. «La signora ha parlato da turista, da chi è oramai fuori da un certo mondo, perché un funzionario del Metropolitan non avrebbe mai azzardato tali parole (So per certo che in passato abbiamo restituito dal Metropolitan alcuni reperti, ma non si trovano esposti. Non capisco perché chiedere la restituzione di opere per poi tenerle chiuse negli scantinati. L’arte dovrebbe essere patrimonio di tutti e per questo si dovrebbe poter almeno vedere”) ben sapendo che le loro mostre sulla Grecia ad esempio dipendono dalla opere che prestiamo da Napoli. Perché non dire invece cosa ha provato di fronte a certe opere uniche al mondo che abbiamo solo noi? Poi è chiaro che ci sono tanti problemi e tante cose da migliorare, ma siamo solo all’inizio».

Resta però il punto sollevato dalla Howard: perché prestiamo tanto ma non riceviamo in prestito? A causa della trascuratezza dei nostri musei? «Perché non ne abbiamo bisogno – risponde Giulierini -. A Napoli abbiamo un patrimonio di opere e quando si dice che le prestiamo invece di esporle bisognerebbe sapere che i prestiti sono degli affitti e che per esempio abbiamo appena chiuso dei prestiti per due milioni di euro, fondi che potremmo utilizzare per colmare le lacune e migliorare il museo e intanto le opere non restano chiuse nei depositi ma girano e diventano appunto patrimonio di tutti».

Al Corriere del Mezzogiorno Giulierini aveva detto, tra le altre cose: «Se gli stranieri vengono qui a studiare l’arte italiana, devono anche capire che noi non siamo omologati. Nei bookshop abbiamo deciso di enfatizzare le eccellenze artigianali locali, dall’oreficeria all’arte del cameo. Meglio un prezioso manufatto di Torre del Greco che una maglietta globalizzata». E delle opere in deposito: «Su questo la signora deve stare molto calma: una cosa è dire che non riusciamo ad esporre tutto, un’altra che varreb- be la pena non restituire i reperti. Questo è un illecito. Io non posso mostrare tanti pezzi uguali solo perche? li ho».

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