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Da Donadoni ai David di Donatello: in Italia più perdi, più vieni premiato

Da Donadoni ai David di Donatello: in Italia più perdi, più vieni premiato

Premessa doverosa: non è un attacco a Repubblica, a repubblica.it, che certamente ha sbattuto quel titolo in homepage per far balzare il lettore dalla sedia. E ci è riuscito. Il titolo dedicato al calcio è ben fatto: “La crisi del Bologna avvicina Donadoni alla Nazionale”. Il “cappotto” di Napoli è l’ennesimo capitolo della serie nera che da qualche tempo ha imboccato il Bologna. Serie che si è interrotta all’Olimpico di Roma con un prezioso pareggio conquistato contro la squadra di Spalletti. Colpisce che in Italia una cattiva stagione possa favorire l’approdo a quella che dovrebbe essere la panchina più ambita dagli allenatori italiani anche se non è certo la più ricca. Così come non passa in secondo piano che alle spalle della prima scelta Donadoni ci sarebbe Vincenzo Montella. Due bravi allenatori ma anche due tecnici che non hanno ottenuto quest’anno grandi risultati. In un Paese meritocratico il candidato naturale alla panchina della Nazionale sarebbe Allegri oppure, se non lui, Maurizio Sarri. Dovrebbe funzionare così. I risultati positivi conquistati sul campo ti aprono le porte della panchina che rappresenta il Paese. Da noi non funziona così nemmeno nello sport che dovrebbe essere l’ambito dove le chiacchiere stanno a zero: se sei bravo, vinci; se non sei bravo, perdi e resti a casa.

Potrà sembrare un volo pindarico ma è quel che più o meno è accaduto l’altra sera ai David di Donatello i premi più importanti del cinema italiano. Che hanno escluso il film che ha incassato più di tutti: il “Quo vado” di Checco Zalone ovviamente guardato con sdegno dai mammasantissima della critica (e quest’anno i David hanno vissuto un’edizione decisamente svecchiata sia nella scelta dei film sia nello svolgimento della serata). Che però ha sbancato il botteghino durante le feste di Natale. Il mercato non è una divinità ma non può essere nemmeno considerato sterco. Altro aspetto che ha colpito è che l’opera più premiata, “Jeeg Robot”, non era nella cinquina in concorso per il miglior film; ha vinto il premio per il miglior regista esordiente. Come se chi per la prima volta si mette dietro una macchina da presa – che poi per Mainetti non era certo la prima volta – non potesse fare un film più bello degli altri (l’unica eccezione fu “La ragazza del lago”). Una mentalità che condensa i difetti dell’Italia. “Devi crescere ragazzo, accontentati”, decide il patto di sindacato.

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