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Perché non possiamo non dirci napoletani

Perché non possiamo non dirci napoletani

Napoli-Juve non è mai stata una partita normale, ma, come diceva Totò, qui si esagera. Pure il sindaco di New York, infatti, il terrone-americano Bill de Blasio, ha twittato dal suo profilo ufficiale invitando i soccer fans a guardare il big match di sabato sera e aggiungendo alle sue parole l’hashtag #ForzaNapoliSempre. Il Municipio della Grande Mela, insomma, per bocca del primo cittadino, è pronto a trasformarsi in una Piedigrotta a stelle e strisce. Biancoazzurre, of course. Evento storico, al di là della retorica pallonara di circostanza che sembra per lo più caratterizzare i commenti degli addetti ai lavori. Per non parlare poi dell’ansia da prestazione del conduttore di Sanremo Carlo Conti, che, qualche giorno fa, temendo una Caporetto televisiva per la finalissima del Festival, ha rilasciato dichiarazioni piuttosto comiche alla stampa: registrate la partita e guardate Sanremo.

Le ore passano, l’ansia cresce, come le vendite di pasticche di valeriana, pianta comunemente nota in quanto combatte ansia e tachicardia. E pure se sono lontano da Napoli per motivi lavorativi, cerco di informarmi di continuo sullo stato di salute di qualche amico un po’ ipocondriaco e specialmente su quello di mio padre che, prima di entrare in sala operatoria per motivi cardiologici, pretese che gli portassero da casa la Smart Cam per assistere comodamente dalla corsia dell’ospedale a Napoli-Verona. Che, per fortuna per lui e per me, finì 6-2 e furono tutti felici e contenti, infermieri e parcheggiatori abusivi compresi.

Certo, perso nella nebbia di Montecchio Emilia, non riesco a godere fino in fondo del clima che si respira in città. I commenti degli abituali frequentatori del bar-circoletto sotto casa mia. Lo sguardo preoccupato del mio dirimpettaio, che, da piccolo, mi lanciava in aria ad ogni gol di Antonio Careca, facendomi rischiare l’osso del collo sotto lo sguardo preoccupato e incazzato di mia madre, pronta a massacrare, fisicamente e verbalmente, chiunque attentasse alla vita del tanto atteso figlio maschio, arrivato, in zona Cesarini, dopo tre femmine.

Ma la distanza geografica, in occasioni del genere, diventa un fattore quasi secondario. E la tensione sale in maniera direttamente proporzionale all’avvicinarsi della partita. Per due motivi fondamentali. Anzitutto, sembra quasi che i tifosi del Napoli, nelle ultime settimane in particolare, cercano di interpretare ogni fenomeno – atmosferico, politico, sociale – in modo del tutto calciocentrico. Tanto che, ormai, qualsiasi cosa accada – un temporale inaspettato, un colpo di stato in Burkina Faso, una rivolta razziale in qualche remota cittadina dell’America profonda – sembra un segno quasi divino del prossimo trionfo calcistico in terra sabauda.

Ci crediamo un po’ tutti, ma guai a dirlo: partono subito le più disparate manovre scaramantiche, che stanno facendo arricchire gli andrologi partenopei per l’incremento assurdo dei casi di orchite. Ce la possiamo fare ad uscire imbattuti dallo Juventus Stadium: lo sappiamo e ce lo ripetiamo come un mantra, lo recitiamo come i buddisti recitano le loro preghiere, in attesa di un miracolo, che farebbe convertire anche gli atei più impenitenti, anche i materialisti meno propensi ad ammettere l’esistenza di una divinità trascendente. Ma, sul piano prettamente calcistico, vi è un altro elemento degno di nota. Come qualcuno ha detto varie settimane fa, il Napoli di Sarri può è una squadra euclidea ed apollinea, geometrica e solare, che rompe con una tradizione tutta italiana di catenaccio e contropiede, presentandosi come un’evoluzione 2.0 del Milan sacchiano. Una squadra che cerca di imporre ovunque il suo gioco fatto di passaggi rapidi, pressing a tutto campo, verticalizzazioni, difesa alta e sacrificio costante da parte di tutti gli interpreti. E se questa aspetto può far giustamente pensare alle teorie del matematico e scienziato greco Euclide, è pur vero che, ora più che mai, bisogna stringersi attorno alla squadra; e se il filosofo napoletano Benedetto Croce intitolava un suo saggio Perché non possiamo non dirci cristiani, in maniera un po’ irriverente, dobbiamo dirci, oggi più che mai, che non possiamo non dirci napoletani.

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