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La solitudine di Irrati, un arbitro antirazzista che meriterebbe questori all’altezza

La solitudine di Irrati, un arbitro antirazzista che meriterebbe questori all’altezza

Il protagonista è lui, persino oltre gli straordinari meriti del Napoli che ha imposto la sua legge alla Lazio assetata di vendetta ma obbligata ad arrendersi alla straripante superiorità degli avversari: Massimiliano Irrati, fiorentino, 36 anni, arbitro in carriera (nel 2013 è stato premiato come fischietto d’oro della serie B) cresciuto a Lamporecchio, piccolo centro toscano che i golosi conoscono bene per il profumo inebriante dei biscotti all’anice che lì si producono. Si chiamano “brigidini” queste delizie croccanti, ma, dopo la prova di fermezza e di intelligenza offerta all’Olimpico dall’arbitro toscano, statene certi li chiederemo anche noi e obbligheremo i pasticcieri e ad esporli in vetrina. Magari insieme agli “anicini” delle nostre mamme che sono altrettanto buoni anche se non hanno mai trovato uno sponsor d’eccezione come questo fischietto della sezione arbitrale di Pistoia che ha imposto il silenzio – e in parte lo ha ottenuto – ai tifosi laziali profondamente malati di razzismo i quali pensavano di godere, come sempre avviene, di una sorta di immunità. Che, di fatto, il sistema ha sempre concesso loro limitandosi a condannarli al pagamento di multe ridicoli rispetto alla gravità, anche morale, del reato. È come se un giudice penale punisse con un buffetto sulla guancia un delinquente abituale.

Bravo, bravissimo Irrati, dunque, è così che si batte l’inerzia del sistema: dopo il suo gesto coraggioso e autorevole nulla potrà più essere come prima. Almeno ce lo auguriamo, anche se abbiamo ragione di ritenere che ben difficilmente questo auspicio si verificherà. Il calcio italiano è profondamente malato proprio per l’incapacità di pretendere il rispetto delle leggi. Questo limite è emerso pure ieri sera anche se il coraggio finalmente mostrato da un arbitro consente di archiviare la serata dell’Olimpico come un momento di grande valenza educatrice. Speriamo non fine a se stessa, anche se i dubbi sono obiettivamente superiori alle certezze.

Ci ha colpito, tanto per essere chiari, l’assordante e mortificante silenzio dell’altra metà del tifo laziale, quella che dovremmo definire civile e capace di reagire a simili volgarità: loro, i tifosi “buoni”, se ne sono stati zitti pur sapendo che una salva di fischi ai loro dirimpettai avrebbe dato più forza al gesto dell’arbitro. Che, invece, è stato lasciato solo nella foresta dell’Olimpico come accadeva ai gladiatori del Colosseo.

Altra grande assente è stata l’autorità della polizia. E anche questa è una costante, purtroppo. Per poter andare in fino in fondo e infliggere una lezione esemplare ai tifosi laziali – ma anche a quelli juventini o veronesi o bergamaschi nutriti della stessa cultura – e per poterli allontanare dagli stadi è indispensabile che i custodi dell’ordine pubblico diano il loro assenso decretando la sospensione della partita. Anche ieri sera la Questura, a quanto risulta, non se l’è sentita di intervenire con fermezza e fino a quando non ci sarà una giusta sinergia tra gli organi preposti alla direzione delle partite e all’ordine pubblico le cose, purtroppo, non cambieranno: i razzisti continueranno a svolgere il loro turpe mestiere e tutti i Kalidou Koulibaly che calcano i campi di calcio dovranno rassegnarsi a subire insulti oltraggiosi e vigliacchi. In fondo, è successo anche all’Olimpico oscurando il bel gesto dell’arbitro: i tifosi laziali hanno continuato a urlare i “buu” e a invocare l’intervento del Vesuvio purificatore. Una vergogna che spinge le persone di buon senso a pretendere dal governo del calcio e dal ministero dell’Interno un intervento autorevole e ad horas: solo in questo modo il coraggio di Massimiliano Irrati avrà prodotto l’effetto giusto. A meno che non si voglia darla vinta definitivamente alla violenza e alla sopraffazione.

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