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Castori, anche lui per il calcio ha rinunciato al posto fisso

La storia professionale di Fabrizio Castori è il classico caso del “però, quella volta che…”. Ingiusto, se vogliamo, ma il calcio purtroppo funziona così. Soprattutto quando alleni il Cesena in Serie C1, affronti il Lumezzane e ti ritrovi a monopolizzare i tg nazionali per una rissa clamorosa. Raccontiamola subito, togliamoci il dente: Castori è sulla panchina dei romagnoli, si sta giocando la Serie B in un’infuocata finale playoff. Al gol di Russo, giocatore dei rossoblù bresciani, si scatena un’incredibile scazzottata in campo. Castori ne è il protagonista assoluto, anche per il giudice sportivo: tre anni di squalifica, poi ridotti a due. Un peccato, anche perché il Cesena, alla fine, riuscirà a portarsi a casa la promozione in quel giorno così difficile per Castori e per il calcio italiano. Dell’episodio l’allenatore marchigiano dirà: «Sono come Mazzone, ho un fratello gemello che va in panchina al posto mio. In realtà c’è andato solo una volta, per un Lumezzane-Cesena che vorrei venisse dimenticato. Voglio essere giudicato per quello che riesco a dare ora, anche perché ho pagato, pure pesantemente, per i miei errori».

Il resto è molto molto di più, in campo ma anche fuori. Fabrizio Castori è un po’ il classico allenatore di provincia, quello che dall’improvviso ti ritrovi nel grande calcio e non te ne sei neanche accorto. Il suo punto di partenza sono le Marche, praticamente sotto casa. Il luogo chiave è giusto un attimo più distante, ma è roba da poco: Tolentino, provincia di Macerata, diventa il feudo di Castori. Sei stagioni, dall’Eccellenza fino alla Serie C2, al calcio dei professionisti. Quel che serve per dare una svolta alla propria vita professionale e per lasciare il posto fisso di rappresentante di scarpe. Castori, nel 1998, è un allenatore a tutti gli effetti. Pure bravo, viene da dire: lo seguono dall’Abruzzo, viene preso prima dal Lanciano e poi da una squadra simbolo, quel Castel di Sangro da due campionati in Serie B alla fine degli anni Novanta. Sono due esperienze che vanno in maniera opposta, diametralmente: trionfale quella di Lanciano, quattro stagioni in due tornate e due promozioni, dal campionato dilettanti fino alla Serie C1; in mezzo, la stagione nella Val di Sangro e un esonero alla vigilia di Natale. 

Dopo l’Abruzzo, Cesena: la promozione macchiata dalla rissa, la squalifica che non pregiudica il rapporto con la società. Nonostante l’inattività forzata, almeno sulla carta, Castori resta in sella fino al 2007, rientrando prima in panchina e cogliendo anche un piazzamento playoff, nel 2006. Quando si esaurisce l’avventura in Romagna, inizia un girovagare con poco costrutto: Salernitana, Piacenza, Ascoli, Varese e Reggina sono tutte squadre di Serie B che in qualche modo confermano la dimensione ormai di livello raggiunta da un tecnico che però non ha ancora avuto la grande occasione. Non tanto quella del grande club, quanto semplicemente quella di un club con un progetto vero, reale. Basti pensare che tutte le squadre allenate da Castori dopo Cesena sono in seguito fallite. Tutte, nessuna esclusa. 

Poi arriva il Carpi, che è un sogno ad occhi aperti: nel 2010 viene eliminato dal Pianura nei playoff di Serie D, nel 2013 è in Serie B. Castori arriva per la seconda stagione in cadetteria, per giocare un campionato sereno, da mezza classifica. I mezzi della società, del resto, non autorizzano a sognare. E infatti Castori e il Carpi non sognano ma costruiscono realtà: il primo posto è raggiunto quasi subito, la squadra non è un esempio di spettacolarità, però è efficace e raccoglie risultati. Lo sa anche il mister che l’anno è quello buono: in un’intervista al Corriere dello Sport, dice che il suo Carpi «sta dimostrando di meritare il primato, vogliamo restare il più a lungo possibile lassù, magari sino alla fine. Perché no? Non sarà facile né scontato, ma ci proviamo». Ci riusciranno, per una storica prima volta. Castori vincerà il premio Manlio Scopigno come miglior allenatore della cadetteria e si godrà l’esordio in massima serie a 61 anni. Niente male davvero.

Il primo punto a Palermo, il primo pareggio in casa proprio contro il Napoli. Il Carpi approccia un po’ così il suo primo campionato di Serie A, e la società emiliana tenta la carta del cambio in panchina ed esonera Castori. È una scelta che non sarebbe esagerato definire suicida, soprattutto se sei uno dei tifosi carpigiani che dopo l’esonero disegnano e appendono uno striscione in cui scrivono «cAstori immortale». Sannino dura niente, Castori torna in pista dopo cinque partite appena. Insomma, abbiamo scherzato. Scherzando, il Carpi cambia marcia: due vittorie consecutive a cavallo del giro di boa del campionato, il pareggio di Milano con l’Inter, quello sfiorato con la Fiorentina. Castori c’è, insieme a una squadra che non sembra essere rassegnata a una retrocessione pressoché certa per tutti gli addetti ai lavori, e che ha potenzialità e cuore per lottare fino alla fine. Lo dice anche Castori, che adesso ci rimane male se non vince in casa contro il Palermo in uno scontro decisivo per la salvezza: «Ho l’amaro in bocca per questo pareggio, la mia squadra non si è espressa al meglio». Realismo, in entrambi i sensi: «Mi prendo questo punto che comunque non compromette la stagione».

Il “molto altro” fuori dal campo fa comunque fatica a uscire dal campo, da uno sport che è una ragione di vita. Fabrizio Castori, durante la sua esperienza al Cesena, ha lavorato con la comunità di San Patrignano. Allenatore secondo i beninformati, «consulente e basta» secondo lo stesso Fabrizio. Che spiega così la sua esperienza di uomo e tecnico di calcio: «Il mio pensiero è che il calcio sia un veicolo che coinvolge emotivamente, un mezzo di aggregazione sociale importante. Ritengo che sia un ulteriore mezzo per i ragazzi di migliorare e imparare a stare insieme. Il mio è un apporto tecnico e di esperienza, d’accordo, ma soprattutto umano. Con i ragazzi mi sono subito trovato bene, e nel giro di un paio di allenamenti si è creato un rapporto di stima, di simpatia, di amicizia. Il gruppo, ecco, siamo un gruppo. In più è un momento di formazione anche per l’allenatore Manzaroli, utile perché migliori come tecnico». Niente male il “gemello buono” di questo Fabrizio Castori. Come allenatore, ma anche (e soprattutto) come uomo. 

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