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Caro Auriemma, Pulcinella non si sarebbe mai offeso di essere chiamato per nome. Da un Mentana qualsiasi poi

Caro Auriemma, Pulcinella non si sarebbe mai offeso di essere chiamato per nome. Da un Mentana qualsiasi poi

Auriemma! Mi meraviglio di te. Sei o non sei un napoletano vero? Allora come puoi offenderti se un Mentana, quando giochi con lui in quei teatrini delle marionette che sono i talk show calcistici, ti chiama “Pulcinella”? È come se minacciassi querela a Coviello o a un’altra specie di carattere che al momento impersona un ruolo nel bar, sulle tavole di una farsa al San Carlino o all’Opéra comique. Soltanto i sommi, come il Biscardi e il Mughini, sono riusciti a imporre se stessi come maschera, per cui non si direbbe mai al Giampiero “stai buono, Pulcinella”, ma “stai buono, Mughini”. Per gli altri come te o Mentana e magari come me, che siamo meno riusciti, bisogna ancora riferirsi a qualche maschera tradizionale. Perciò tu invece che “cafone” dovevi ribattergli, che so, “Arlecchino”.

Auriemma caro, tu non sei un vero Pulcinella. È evidente. Il Pulcinella vero, che si fece voce dialettica o satirica per gente come Fielding, Swift e Voltaire, che fu “imparato” nell’inglese e nel francese per la lunga dimestichezza con giornali gloriosi quali il Punch e Le Charivari, che fu corteggiato da Nabokov e Stravinskij, non si sarebbe mai offeso di essere chiamato per nome. E poi da chi: mica da un enciclopedista o da un filosofo. Bensì con tutto il rispetto da un Mentana qualsiasi, il quale come molti nati a Milano da padre calabrese la prima cosa che fece fu forse milanesizzarsi, trascurando certe complesse espressioni culturali della “nazione” in cui la sua famiglia ebbe radice. Altrimenti come avrebbe potuto onorare te, con tutto il rispetto, di un appellativo così magnificente?

Essere Pulcinella, per chi ne abbia a mente le struggenti o lievi imprese raffigurate da Giambattista e Domenico Tiepolo, che ispirarono persino Goya nella drammatica tela della Fucilazione; essere Pulcinella, per chi abbia letto certe pagine di Benedetto Croce; essere Pulcinella, per chi abbia conosciuto il teatro quanto una madame de Graffigny… Essere Pulcinella non è cosa da tutti. Al massimo lo si può temporaneamente impersonare. Con la sòla nera che copre mezza faccia, col cuppulone bianco. Ma né tu né io, caro Auriemma, né – figuriamoci – Mentana saremmo all’altezza. I tempi sono cambiati.

Ce lo cantò Pino Daniele, che Pulcinella ormai s’è tolta quella maschera nera. Molto prima di lui l’aveva scritto Ferdinando Russo (che ha scritto un sacco di cose prima degli altri): “Straccia cammisa janca e cuppulone!/ Scamazza ‘a mascarella e passa llà!”. Lo volle far morire Scarpetta, lo volle far morire Eduardo. Ma la verità è che Pulcinella è come l’amore, come la morte e come la verità: è diverso per ciascuno e per ciascuno è unico. Per me, dovessi dire, è Fleba il fenicio della Terra desolata di T.S. Eliot, solo che a spolparlo è il mare di Napoli dove nun ce stanno taverne. È anche un quadro di Domenico Purificato che s’intitola La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta, perché con l’annessione del Regno al Piemonte muore con lui una parte di noi e non per fare i nostalgici ma vedi, Auriemma benedetto, come certe cose tornino sempre. Quando l’ammiraglio Persano inetto e fanfarone bombardava i bastioni della fortezza, i marinai di re Francesco (tra cui chissà, forse pure alcuni calabresi, caro Mentana) decisero di festeggiare ugualmente il Carnevale e morirono vestiti in maschera, col volto infarinato, lanciando palle di cannone e pernacchi all’indirizzo del vanaglorioso assediante. Perché in fondo il coraggio dei napoletani quest’è: uno sberleffo alla morte. Non un banzai! È una certa idea della festa dopo una partita o per una partita di calcio. Alla maniera di Pulcinella? Può darsi, anzi dico magari. Perché vorrebbe dire che tu, caro Auriemma, che io (e l’interista Mentana interroghi gli avi suoi), non siamo veramente morti a Gaeta. Vorrebbe dire che un po’ siamo ancora qua. Ti pare niente? Perciò accetta i migliori, fraterni complimenti dal tuo pulcinellesco collega
Francesco Palmieri

(Francesco Palmieri è nato a Napoli nel 1962. Giornalista professionista dal 1988, cronista di nera al “Giornale di Napoli” poi a “Paese Sera”, dal 1992 è all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia), dove è caposervizio della redazione Economia e coordinatore del portale Cina. Ha pubblicato Le due porte (Ad Est di Equatore, 2015), Il libro napoletano dei morti (Mondadori 2012), e i saggi Sole, Luna e Talia. Magia e misteri a Napoli (Società editrice napoletana 1984) e Vite pericolose. Uomini e fantasmi delle arti marziali (Settimo Sigillo 2009). Maestro di Kung Fu e cultore di musica e pittura napoletana, vive a Roma dal 1987.)

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