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Se non soffri, non vinci: la sera in cui il Napoli diventò capolista e non fu più la squadra simpatia

Se non soffri, non vinci: la sera in cui il Napoli diventò capolista e non fu più la squadra simpatia

Innanzitutto mi autodenuncio: sono un tifoso del Napoli che non ha complessi di colpa per aver vinto una partita in cui i nostri avversari hanno colpito due pali all’ultimo minuto. Anche se loro giocavano con un uomo in meno. Liedholm affermava che con un uomo in meno si gioca meglio. E noi lo stupimmo pareggiando addirittura in nove uomini contro la sua Roma. Segnò Francini.

Altri tempi. Ma sono tempi che tornano. La vittoria sull’Inter per 2-1 ci riporta al secolo scorso. Proietta il Napoli da solo in testa alla classifica come non accadeva dal 29 aprile 1990. Quel giorno si festeggiò il secondo scudetto.

Il Napoli ha battuto l’Inter al termine di una partita sofferta, com’è naturale che sia una gara decisiva per la conquista del primo posto in classifica. Il calcio è da sempre così. Siamo poco abituati alla vetta per ricordare che anche nel Novecento maradoniano si vinceva così: soffrendo. C’è un tempo per il bel gioco e per l’accademia, e ce n’è un altro per la solidità mentale, per la strizza, per quella sofferenza che rende interminabile lo scorrere dei secondi. Perché la vittoria non te la regala mai nessuno. E quando vinci, smetti di essere simpatico. Tutt’al più ti possono abbonare la prima volta.

E il Napoli, a guardarsi un po’ in giro, ha smesso di essere simpatico (tranne, paradossalmente, nel salottino di Sky). Dovremmo gioire di questo. Per il Napoli persino Gianni Mura è incappato in una sua eccezione giornalistica: ha messo fuori fuoco. E ha scritto che “se esame di maturità era, l’Inter lo ha superato e il Napoli no”. Il Napoli che ha vinto, che è primo in solitudine, che ha segnato un gol in undici contro undici, che ha oggi il centravanti più forte della serie A. E che sì ha subito l’Inter nei minuti finali. Chiediamo perdono se Eupalla ha voluto che vincessimo noi. Ora però non esageriamo.

C’è una squadra sola al comando. Con una maglia persino simile a quella della Bianchi di Fausto Coppi. Più azzurra e meno celeste. Ha impiegato due mesi e mezzo per completare una sorprendente rimonta. Battendo uno dopo l’altro la Lazio, la Juventus, il Milan, la Fiorentina e l’Inter. Quindici gol fatti e tre subiti in queste cinque partite. E i due pali eh, non li dimentichiamo. Come le due figure del tressette. Inutili. 

Il Napoli ha giocato una gara solida, matura. E da grande squadra ha sfruttato il minimo errore dell’avversario. Funziona così in questo sport. Forse Miranda non ne aveva svirgolato nemmeno uno di pallone in questo campionato, eppure ieri lo ha fatto dopo sessanta secondi. E nei restanti dieci, Higuain ha ricevuto palla da Callejon, si è girato su stesso e ha fermato il tempo. Squadra cinica, direbbe qualcuno. Così come probabilmente non sarà mai capitato ad Handanovic di effettuare un rinvio e vedersi tornare la palla col bigliettino firmato Higuain, ancora lui, che l’ha messa laddove – anni fa – la depositò Careca al termine di una lunga corsa, invano inseguito dalla difesa del Milan. E funziona anche che ci sono gli avversari in campo. C’erano anche a quei tempi. Nell’anno del suo addio, Platini ci fece tremare con un perfetto assist a Serena e una partita da incorniciare. Vincemmo 2-1 come ieri sera. Soffrendo. 

Il Napoli da ieri sera è più forte proprio perché ha vinto soffrendo. È una nota di merito. Non un aspetto di cui vergognarsi. Il Napoli non vince solo quando annienta gli avversari. Sarebbe troppo comodo. E volutamente sorvoliamo sui settanta minuti in cui si è giocato in una sola metà del campo, con la fascia sinistra dell’Inter fatta a pezzi da Allan e Callejon. Perché è la capacità di soffrire che ci interessa. Che esprimiamo il calcio più bello d‘Italia già lo sapevamo.

Ora, però, cambiano tante cose. Da adesso in poi sarà difficile giocare con la testa libera da pensieri. E se è vero, come ha detto Sarri, che nel finale i muscoli sono andati in tilt perché i giocatori “si sono cacati addosso”, è bene che si abituino – e ci abituiamo – in fretta a fare gara di testa. Perché raggiungere la vetta è tremendamente più semplice rispetto a rimanerci. E qui si apre un altro capitolo. Che solo Sarri e i suoi giocatori conoscono. Anche perché questo Napoli aveva il grande vantaggio di essere partito senza obiettivi. L’anno scorso squadra e ambiente finirono schiacciati dalle aspettative create dal primo anno di Benitez.  

Fin qui, il tecnico nato per caso a Bagnoli ha sbagliato poco e niente. Ha invertito la rotta dopo tre giornate e si è ritrovato tra le mani una delle squadre più belle d’Europa. Sapete come la pensiamo, non ha lavorato su una materia grezza. Tutt’altro. Ma Sarri ha tanti e indubbi meriti. E se tutti glieli riconoscono per la fase difensiva (a proposito, avere un portiere non è male eh?), bisogna riconoscerglieli per la trasformazione di Gonzalo Higuain. Mai visto così. Né al Real, né con l’Argentina. Né col Napoli. La metamorfosi di un calciatore. Non aveva mai avuto l’istinto del killer, lo dimostrò anche nella finale del Mondiale brasiliano. Ieri ha avuto, si è conquistato, tre occasioni: due gol e una paratona di Handanovic (che vale quella di Reina). Sarri ha un’altra forza, quella della sua genuinità. Della sua schiettezza toscana. Quando non si attarda in incomprensibili lamentele – ad esempio quella per il pallone – Sarri mostra una capacità unica: fende la retorica con un coltello affilatissimo e va sempre al cuore della questione: «Vi siete cacati addosso». Diretto ed efficace. Nel giornalismo, Sarri sarebbe un ottimo titolista.

Insieme, lui e il suo Napoli, hanno bruciato le tappe. Quattordici per conquistare la maglia di leader. Ora sta a lui, figlio di ciclista, capire come muoversi. Senza dimenticare – noi e loro – che verranno i momenti difficili. E il comportamento più semplice sarà quello di scaricare le responsabilità, di gridare al mercato. Dimenticando che questo Napoli è composto da tanti giocatori che d’estate la maggioranza dei tifosi e degli addetti ai lavori avrebbe volentieri mandato altrove.
Massimiliano Gallo

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