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Il nuovo Higuain e la definitiva unione con Napoli: «Dobbiamo sfruttare quello che ci dà questa città straordinaria»

Il nuovo Higuain e la definitiva unione con Napoli: «Dobbiamo sfruttare quello che ci dà questa città straordinaria»

Gonzalo Higuain ha vinto due volte: in campo con i due gol stellari che potevano essere tre se Handanovic non si fosse superato con una parata alla Reina del tipo cioè vietato ai comuni portieri, ma ha vinto anche nel dopo partita quando ha ufficialmente dichiarato concluso il suo rapporto di fidelizzazione con la città. Con le coronarie ancora in subbuglio questo siparietto deamicisiano è sfuggito ai più, ma chi l’ha colto si è sciolto, calcisticamente, in lacrime. Tento di riportare alla lettera la dichiarazione dell’attaccante più forte del mondo in risposta alla domanda (leggermente banale) del cronista intervistatore. “Ora che succede”? gli è stato chiesto e il Pipita ha risposto così: “dobbiamo continuare a fare lo – apprezzate il mio spagnolo – che abbiamo fatto finora, dobbiamo pensare a vincere e soprattutto dobbiamo sfruttare tutto quello che questa città straordinaria ci dà”. È una affermazione importante che, in qualche modo, Sarri ha confermato ieri notte rivelando, con più dovizia di particolari, l’avvio, prima difficile e poi esaltante, del suo rapporto con il fuoriclasse argentino: “Quando, poco dopo il mio arrivo a Castelvolturno, mi chiese cosa volessi da lui, senza mezzi termini gli risposi che doveva migliorare alcuni particolari della fase tecnica, ma doveva, soprattutto, entrare più nella parte e lavorare sul suo carattere e sul modo di partecipare al gioco. Ora posso dire che ha fatto tutto quello che gli ho chiesto e, continuando così, può aspirare al Pallone doro”.

Higuain come Maradona, allora? Questo paragone mi convince solo sul piano tecnico, molto meno su quello umano perché Diego, pur innamoratissimo di Napoli, non è mai riuscito a liberarsi dei suoi problemi e la dipendenza dalla droga ha finito per incidere sul suo equilibrio e, quindi, anche sul suo carattere. È più sostenibile, almeno così penso, l’accostamento a Vinicio: Gonzalo come Luis suona meglio e ci sta tutto anche per le caratteristiche dei due campioni. Certo, con Vinicio parliamo di un calcio più acqua e sapone e meno condizionato dai soldi e dal business, ma Gonzalo, pur restando uomo del suo tempo, non ha mai mostrato di tenere più al dinero che all’onore calcistico. E questa virtù che in qualche modo lo distingue dai suoi parigrado ha trovato ieri notte una conferma da libro cuore con la dedica a Napoli fatta nel dopopartita quando, come ha detto Roberto Mancini, i giudizi dei protagonisti sono ancora condizionati dall’adrenalina che non è stata del tutto scaricata e, forse proprio per questo, sono più autentici. E lui, il tecnico interista che veste Napoli e ha sposato una ragazza del Vomero, ha riconosciuto, sia pure comprensibilmente tra i denti che “il Napoli è la squadra più forte del campionato”. Salvo poi cadere immediatamente dopo in questa palese contraddizione: “Se l’arbitro non avesse espulso Nagatomo non avremmo perso, anzi, probabilmente, avremmo addirittura vinto”. Rispetto all’andamento complessivo della partita questa è una affermazione tutta da verificare e, probabilmente, destituita di fondamento. Come ha lucidamente affermato Sarri dicendo a Vialli che «fino al gol di Ljajic il Napoli aveva dominato a differenza di quanto ha fatto negli ultimi venti minuti quando, come io temevo e lo avevo detto ai ragazzi, ce la siamo fatta addosso».

Tranne questi sprazzi, comunque, il dopopartita complessivamente non è stato all’altezza dell’intensità e della spettacolarità del gioco. Gira e rigira il mantra della parola “scudetto” ha fatto il pieno provocando uno scadimento dell’analisi. Che, invece, meritava un approfondimento maggiore perché ieri notte al San Paolo l’Italia del pallone ha avuto il privilegio di assistere ad una partita da premier inglese con acuti da finale di Coppa Libertadores: ’nu partitone, insomma. Vinto con pieno merito dal Napoli di Maurizio Sarri su una degnissima Inter. Senza alcun “aiutino” particolare né da parte dell’arbitro Orsato, perché il doppio giallo era sacrosanto (Mancini deve farsene una ragione e sono sicuro che, a mente più serena, se la farà soprattutto dopo che lo ha riconosciuto anche il suo gemello Vialli), né da parte di San Gennaro o di qualche altro protettore confuso tra i 55mila del San Paolo. Ha vinto, cioè, giocando al calcio e non per grazia ricevuta.
Carlo Franco

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