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In giro per Napolislam col Migrantour, la Napoli multietnica raccontata da chi si è integrato

In giro per Napolislam col Migrantour, la Napoli multietnica raccontata da chi si è integrato
Laura, una tifosa del Napoli, mi scrive proponendomi di fare un giro di Napoli con il Migrantour. Mi spiega che è un progetto realizzato con la cooperativa di mediatori culturali Casba, passeggiate interculturali alla scoperta dei mondi lontani che abitano vicino a noi. I percorsi di Migrantour Napoli, promossi da CASBA, attraverso vicoli e strade, storie e vissuti, sapori e tradizioni delle comunità di migranti che vivono nei quartieri più multietnici della città, sono ispirati ai temi de “le comunità del cibo” (il cibo come nutrimento e momento di conoscenza e relazione e i mercati come luogo di incontro e scambio) e “il dialogo interreligioso” (attraverso la conoscenza dei luoghi di culto che convivono sullo stesso territorio)
 
Prendo il taxi per arrivare al punto di incontro a piazza Garibaldi perché come sempre ho fatto tardi. Il mio tassista, un ragazzo giovane cui ho dimenticato di chiedere il nome, mi racconta che è appena tornato e si sente quasi straniero in patria, prima era un militare e ha preso parte a diverse missioni in Kosovo e Afghanistan. «Sentivi solo il silenzio». Mi mostra una cicatrice in testa, mi spiega che dopo cinque anni ha capito che «la vita vale molto più di tutti i soldi che guadagnava in missione (ed erano proprio tanti)».

Arrivo alle spalle della statua di Garibaldi, ad aspettarmi c’è Laura, viene da Torino ma non è torinese, tifa Napoli. Anche a Torino si occupava del Migrantour, e mi da le spiegazioni di base:
«Le passeggiate di Migrantour Napoli si svolgono ogni sabato mattina e sono state create in modo partecipato dai cittadini di origine straniera, Anastasiia, Chitra, Jimale, Shukri, Lydmyla, Irina, Papa, Chandrasiri, Pierre, Diarro, Pavlo, Jomahe, Chiara, Elena,- senegalese, cingalese, somala, ecuadoriana, gambiana, russa, ucraina, ivoriana, mauritana e georgiana – appositamente formati in 200 ore di lezione tra studio in aula, ricerca sul campo e ricerca partecipata. Sono loro i ciceroni di un’insolita quanto affascinante Napoli multietnica che guidano i visitatori attraverso storie e racconti di cibo, religione e tradizioni che si nascondono dietro ai luoghi e alle persone che li vivono ogni giorno».

La nostra guida oggi è Pierre (Senegal) da 16 anni in Italia, parla napoletano meglio di Higuain e infatti ci illustra subito che corso Umberto si chiama in reltà “Rettifilo” perché è una linea retta che collega la stazione al centro storico

Partiamo.

Proprio alle nostre spalle c’è il supermercato Banana (ai napoletani noto come Cristiani), nome esotico, che è stato il primo a Napoli di prodotti importati asiatici e africani. Pierre ci mostra il miglio senegalese, le verdure, i vari tipi di riso e ci spiega anche alcune ricette dolci o salate.

Seconda tappa del tour è Ennor, a prima vista un Kebab, in realtà è una grande macelleria che vende solo cibi “Halal“ (ciò che è lecito) dove i musulmani, e non solo, possono mangiare senza preoccuparsi di trovare ingredienti proibiti. Per essere definita Halal, la carne deve provenire da un animale ucciso da un musulmano rivolto verso la Mecca mentre pronuncia il nome di Allah.

             

Puoi fare la spesa, ma anche scegliere la carne che preferisci e fartela cucinare sul momento.
Passiamo per il quartiere somalo, sempre dietro la Stazione, dove sono concentrati tantissimi call center e Internet point, Pierre ci spiega che proprio uno di questi è il punto di prima accoglienza per tutti gli immigrati che arrivano dalla Somalia, prima che trovino collocazione in altre città d’Italia.

In via Torino troviamo il primo mercato, dove ambulanti immigrati e napoletani lavorano insieme. Jomahe (Ecuador), la presidentessa di Casba, ci spiega che questo è uno degli aspetti più belli e positivi dell’immigrazione.

Mentre passeggio penso che sono passata tante volte per queste strade, di corsa, a testa bassa, senza mai guardarmi intorno, quasi impaurita. Stamattina, per la prima volta guardo in faccia le persone che incontro, chiacchiero con loro, sbircio sulle bancarelle ed entro nei negozi. Mi rendo conto che avevo paura semplicemente perché non conoscevo, non sapevo chi fossero e perché fossero lì, e ora che conosco un po’ meglio la loro storia, i loro nomi, la mia paura è svanita. 

In via Firenze facciamo sosta al negozio di souvenir Oriental Art dove finalmente trovo la vera integrazione.

Sosta alla moschea senegalese, frequentata da musulmani di posti diversi proprio perché essere immigrati accomuna molto. Ci togliamo le scarpe e ci copriamo il capo prima di entrare, il ragazzo che ci accoglie, ci spiega le loro abitudini e ci fa assistere a una preghiera tipica dei senegalesi di Tidiane.



Sulla parete sono esposti gli orari delle 5 preghiere quotidiane che variano col variare dell’alba e del tramonto, ma soprattutto c’è un cartello che più che mai accomuna i loro luoghi di culto ai nostri “spegnere il cellulare“, è proprio vero che la tecnologia avvicina i popoli.

In via Bologna attraversiamo il mercato senegalese che forse tra un po’ non ci sarà più perché per la riqualificazione di piazza Garibaldi hanno pensato che sia meglio spazzarlo via invece di cercare di integrare il mercato nel tessuto urbano e farne una meta turistica. 

 

Ultima tappa del tour è la pasticceria Lauri, dove sono state girate alcune scene di Napolislam. Qui Giuseppe ci fa assaggiare milfè e baklavà, dolci halal, senza grassi animali né liquori. Il primo è una millefoglie con crema senza zucchero, mentre la seconda è una specia di pasticcio di mandorle, “il dolce delle spose“ lo chiamano, così buono che fa venir voglia di sposarsi solo per quello.

«I nostri dolci sono tutti così – spiega Giuseppe – e li sforniamo continuamente perché come noi beviamo il caffè così loro mangiano dolci. L’unica eccezione è la sfogliatella riccia, diffidate da chi vi dice che si può fare con la margarina». 

Il tempo a disposizione purtroppo è finito, le due ore sono volate, saluto tutti fuori alla pasticceria, e non vedo l’ora di condividere questa esperienza, raccontare dei colori, gli accenti, i profumi e i sapori che sono nascosti nella nostra città e che seppur non ci appartengono direttamente contibuiscono ad arricchire la nostra cultura.

Torno a casa ancora in taxi, appena salgo il tassista guarda il mio pacchetto e mi chiede: «Sono sfogliatelle?» Gli spiego che proprio quelle non possono essere. Gli racconto del mio giro e dei dolci per musulmani che ho assaggiato e lui commenta «Beh, allora sono anche dietetici!». 
Francesca Leva

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