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Sarri rende digeribile il turn over ed è persino più disinvolto in tv

Sarri rende digeribile il turn over ed è persino più disinvolto in tv

Il maestro Sarri è ormai pronto per le grandi platee televisive. Al debutto, cosa comprensibile, era apparso un tantinello impacciato e, in qualche momento, quasi reticente – vedi soprattutto il dopopartita di Sassuolo – ma nella notte di Varsavia ai è riscattato alla grande e ha dato il meglio di sé. Come la squadra aveva fatto sul prato della Pepsi Arena, un gioiello che dovrebbe far vergognare il sindaco De Magistris e il presidente De Laurentiis che, invece, continuano, impuniti, a litigare sugli igienici. Ma torniamo a Sarri. A Varsavia ha lasciato intravedere a quali vertici, in termini di arguzia dialettica, può arrivare una felice sintesi tra un doppio concentrato di fantasia bagnata dall’Arno e, per quel che resta, dal Sebeto.

La scintilla è scoccata quando al tecnico azzurro è stata posta la fatidica domanda: è vero che Valdifiori e Gabbiadini non erano d’accordo sullo schema da eseguire su un calcio d’angolo? La preoccupazione del cronista, davvero a corto di argomenti devo presumere, era sorta perché il centrocampista segnalava il 2 mentre l’attaccante chiedeva il terzo modulo. Attimo di panico in studio, qualcuno avrà anche pensato al peggio, ma il maestro ha ridimensionato l’episodio e ha impartito a tutti una lezione di buon senso: Valdifiori avrà detto che il 2-0 andava bene e Manolo, invece, voleva il terzo gol. Risata generale e fine della trasmissione. Con una aggiunta che invita alla riflessione: il calcio vissuto senza veleni e, se possibile, con una dose (misurata) d’ironia è ancora il migliore degli spettacoli possibili. E Sarri, bontà sua, ci ha messo a parte anche di questa formula magica che è molto simile a quella dell’acqua calda.

Sistemati questi aspetti caratteriali, veniamo al sodo. Perché ce n’è, e anche tanto, perfino in una vittoria che è sembrata facile facile nonostante l’ampiezza del temutissimo turnover che da un anno a questa parte è diventato – insieme alle formule tattiche – la madre di tutti i problemi e un rovello per gli opinionisti o presunti tali  che frequentano l’affollatissimo social network calcistico. Prima della partita tutti a stracciarsi le vesti e a fare previsioni catastrofiche, ma alla fine, miracolo, l’atteggiamento è mutato e il cambio di sette giocatori su undici, che qualche mese fa sarebbe stato considerato un lancio dagli ottomila metri senza paracadute, è stato considerato un fatto del tutto normale praticato, anzi, da tutte le buone famiglie calcistiche. ‘O turnover, insomma, è di colpo diventato una gradevole esercitazione che tutti gli allenatori praticano per quadrare il cerchio della fatica. Non per impiccarsi al pennone dello stadio.

La meraviglia è comprensibile, ma scolora se ci affidiamo alla spiegazione – non esplicita ma ricavabile dal comportamento della squadra e dal sincronismo dei movimenti dei calciatori subentrati del tutto simile a quello dei titolari – che di questo (finto) rovello ha dato il tecnico toscano con ascendenze napoletana. L’ovvio diventa, per gli sprovveduti, sofisticata interpretazione: il turnover si può fare solo se la squadra è compatta e se i giocatori hanno assimilato e, soprattutto, sanno mettere in pratica i movimenti voluti dagli allenatori. Nel Napoli di Sarri questo è avvenuto in pochi mesi e ‘o turnover da lupo mangiaallenatori – ogni riferimento è puramente voluto – diventa una formula benedetta. David Lopez, certo, non sarà mai Hamsik e viceversa, ma l’uno e l’altro possono diventare pedine fungibili senza alterare l’equilibrio della manovra e dell’approccio alla gara. Semplice come bere una gassosa.

Tutti felici e contenti, allora? No, il maestro sa che ci sono ancora alcuni tasselli da incastrare nel mosaico – la posizione di Gabbiadini e l’inserimento di Valdifiori – e qualche testa più dura delle altre da convincere – Strinic «che non è ancora pronto sotto il profilo tattico» – ma, come disse il pappicio alla noce, dammi tempo che ti spertuso. E’ un vecchio proverbio, ma chi scrive è un vecchio cronista che crede agli adagi che si fondano sulla saggezza. E sulla cazzimma.
Carlo Franco

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