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La 10 non si tocca. Eppure a Napoli non c’è nulla che celebri Maradona

La 10 non si tocca. Eppure a Napoli non c’è nulla che celebri Maradona

Per riempire il vuoto creato da questa improvvida pausa di campionato, tornano, come di consuento, alcuni tormentoni. Uno tra i più gettonati al momento è il quesito sulla maglia numero 10: “È giusto darla a Insigne?”

È una questione che ritorna periodicamente. Cambiano i protagonisti, ma il copione resta pressoché lo stesso: un influente personaggio (in questo caso Ferlaino) si pronuncia a favore della riassegnazione della “10” a un campione azzurro messosi in luce grazie alle sue prodezze (in questo caso Insigne). Tale idea riceve solitamente come risposta qualche timida approvazione e un più fragoroso coro di distinguo che ricordano che “la 10 non si tocca” e che sarebbe solo un peso per il giocatore, ispirando scomodi e ingenerosi confronti; nulla di nuovo, insomma.

Fermo restando che nessun giocatore sarà probabilmente mai all’altezza di Diego, la questione, a mio parere, meriterebbe per una volta un’analisi più fredda e approfondita che riesca ad andare oltre l’emotività del momento.

Come principio sono contrario alla pratica del ritiro del numero di maglia: ha un senso per gli sport americani, dove i numeri personalizzati hanno un’antica tradizione; mi sembra una forzatura per il calcio europeo, in cui per quasi un secolo si è utilizzata la convenzione 1-11, tanto consolidata che ancor’oggi alcuni numeri sono sinomino di un ruolo preciso. Vedo più appropriato il compromesso del ritiro della maglia a tempo determinato, in alcuni casi già applicata, che onora sì il calciatore, evitando lo sgradevole effetto “avanti un altro”, ma ha un carattere meno definitivo.

La “10” del Napoli è, evidentemente, diversa: per me è e dovrà sempre essere la maglia di Diego Armando Maradona. Ci sono un’infinità di motivi per cui sia così. A me basta ricordarne uno: se anche tra cento e più anni, tra le migliaia di club esisisti ed esistenti, il Napoli meriterà una piccola citazione nella storia del calcio mondiale, non lo dovrà, ahimè, alla sua calorosa, ma incostante, tifoseria, né alla qualità del suo gioco, né tantomeno ad una manciata di titoli vinti in un campionato neanche poi così rilevante; lo dovrà probabilmente solo ed esclusivamente al fatto di esser stata la squadra in cui ha militato il più grande calciatore di ogni tempo all’apice della sua carriera.

La “10” del Napoli non è solo patrimonio del nostro club: è leggenda per il calcio mondiale ed è giusto, dunque, celebrarla in eterno.

Sarebbe però lecito chiederci se lo stiamo facendo in maniera adeguata. Al momento, oltre a depennare il 10 dalla lista dei numeri disponibili, non abbiamo fatto granché. Non abbiamo nulla nel nostro stadio, né una targa né un vessillo che celebri quella maglia. Non abbiamo un museo, dove poterla ammirare e far conoscere le gesta dello straordinario genio del calcio che l’ha indossata; neanche negli store ufficiali è direttamente in vendita (ed è facile immaginare quanti turisti, oltre ai tifosi, potrebbero desiderarla). Un grande potenziale, unico al mondo, per nulla sfruttato. Ed è un vero peccato.

C’è poi un’altro aspetto su cui riflettere: stando così le cose, intere generazioni di tifosi, quelli nati dal 2006 in poi, non vedranno mai più in campo la “10”. È triste, pensando a ciò che questa maglia rappresenta. Significa privarli, in qualche modo, di un’emozione.

A tal riguardo io avrei una proposta per mediare tra questi due sentimenti contrastanti, ossia preservarne la gloria e rendere la sua fruizione futura possibile: trasformare la 10 in una sorta di “corona d’alloro” azzurra, un premio con cui insignire una tantum, e per lo stretto ambito di una singola gara, un campione che per evidenti ed eccezionali meriti ha contribuito a scrivere una pagina di storia del nostro club.
Pur restando in eterno la maglia di Maradona, la 10 diverebbe, nella mia visione, il massimo onore cui potrebbe ambire un calciatore del Napoli. Per generazioni di ragazzini del nostro vivaio uno dei sogni più grandi sarebbe vestire la 10 per una notte.

Immaginate che emozione sarebbe, per un San Paolo che festeggia uno straordinario traguardo, vedere in campo il proprio fuoriclasse, protagonista di quel successo, scendere in campo con quella maglia; qualcosa da raccontare in eterno, sia per i tifosi, che per il calciatore oggetto di tale onore.

Ovviamente questa consacrazione, per non essere banalizzata, dovrebbe restare più unica che rara; potrebbero passare interi decenni senza scomodare la 10. Uno 0-4 a Milano, seppur storico, non sarebbe neanche lontanamente sufficiente, almeno a mio avviso, per un tale onore.

La mia è solo un’idea, ma credo comunque fortemente che la 10 di Maradona potrebbe diventare un simbolo in grado di racchiudere tradizione e progresso, la memoria di un irripetibile passato col sogno di un futuro tutto da scrivere; un modo per unire diverse generazioni di tifosi azzurri e far crescere un sano orgoglio basato meno sull’imprevidibilità dei risultati sportivi e più sul senso d’appartenza, restituendoci un’unicità che uno straordinario miracolo, avvenuto oltre 30 anni fa, ha consegnato al Napoli per sempre.
Luca D’Emilio

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