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Un po’ Verona di Bagnoli, un po’ Barcellona di Guardiola: è il Napoli di Sarri. Al di là di come finirà, lui ha già vinto

Un po’ Verona di Bagnoli, un po’ Barcellona di Guardiola: è il Napoli di Sarri. Al di là di come finirà, lui ha già vinto

Chi ha ascoltato Sky inglese assicura di aver sentito un opinionista paragonare il Napoli di Sarri al Barcellona di Pep Guardiola. Il toscano a questo punto si metterebbe a ridere, non sappiamo se di quel sorriso largo che gli ha illuminato il viso al termine di Milan-Napoli. Di certo è un paragone che per il momento non farà strada. Un po’ perché il calcio italiano è purtroppo marginale nello scacchiere europeo, un po’ perché siamo ancora lontani da risultati definitivi in grado di attrarre le attenzioni degli altri. Ma sarebbe un paragone non poco intrigante, considerato lo stile praticamente opposto dei due: inappuntabile il catalano, sempre vestito come se dovesse andare a un matrimonio; decisamente alla tenente Colombo l’allenatore del Napoli che ieri si è fatto la barba ma non ha rinunciato alla sua tradizionale tuta né a quel mozzicone di sigaretta da cui nemmeno Zeman aveva osato farsi accompagnare durante la partita.     

In Italia, però, il clima è cambiato. Anche perché sul terreno le differenze stilistiche non contano. Cinque gol alla Lazio, due alla Juventus, quattro al Milan cominciano a essere un discreto pro-memoria. Oltre agli ormai strombazzati diciotto gol realizzati e uno solo subito nelle ultime sei partite. Non solo. In occasione del secondo gol (così come avvenne per il secondo gol, sempre di Allan alla Lazio) hanno destato meraviglia i 17 passaggi consecutivi distribuiti tra otto calciatori per un possesso palla di 36 secondi che è terminato col triangolo Insigne-Higuain-Insigne. Si è convinto Mario Sconcerti. La Gazzetta della Sport stamattina ha tessuto l’elogio del calcio di Sarri. E ieri Arrigo Sacchi ha speso parole pesanti per il tecnico toscano («Se i calciatori lo seguiranno, il Napoli raggiungerà risultati importanti»).

Di dati ce ne sarebbero tanti altri. Uno è particolarmente interessante. Per il sito whoscored.com, il Napoli è la tredicesima squadra d’Europa (tra Spagna, Inghilterra, Francia, Germania e Italia) e ha il tredicesimo potenziale offensivo pur essendo solo 62esima nel dato relativo ai dribbling. Il Napoli non dribbla. Dribbla poco. Il Napoli gioca. Palla a terra. Un tocco, massimo due. Fa viaggiare la palla. E strema gli avversari. C’è poco da dire, questo avveniva con il Barça di Guardiola. Quando domina le partite, il Napoli di Sarri dilaga nel secondo tempo. È successo con la Lazio (due gol nel primo tempo, tre nella ripresa), è successo ieri sera. Ma anche con il Legia Varsavia. L’estenuante giro palla, la continua ricerca del giocatore libero da cui far ripartire l’azione.  

Ovviamente non siamo impazziti. Così come in realtà l’aspetto più importante della partita di ieri sera a San Siro è parso un altro, e cioè la tenuta difensiva. Perché nel primo tempo la sfida è stata equilibrata e il Milan di Mihajlovic non è affatto una squadra scarsa in attacco (ripeto, in attacco): Bacca e Luiz Adriano sono due attaccanti di tutto rispetto. Eppure il Napoli non ha mai sofferto. Pepe Reina ha compiuto una sola parata. Koulibaly ha giganteggiato (è stato l’azzurro che ha toccato più palloni, persino pù di Jorginho), Allan è arrivato ovunque così come ha colpito vedere Higuain chiudere Montolivo al tiro al limite della nostra area di rigore.   

Giro palla ma anche grinta, voglia di vincere, spirito di gruppo. E allegria. Perché il Napoli diverte ma soprattutto si diverte. È sicuramente successo qualcosa, è scattato qualcosa. Probabilmente dopo Empoli. Perché questa squadra era stata costruita in estate per giocare diversamente. Col trequartista. E, diciamolo, nei sogni dell’allenatore quel trequartista non era Insigne. Succede spesso così. Il caso, la necessità, finiscono con l’essere alla base delle grandi squadre. Accadde anche per l’Inter di Trapattoni che si ritrovò il decisivo Diaz solo perché Madjer, il tacco di Allah, non superò le visite mediche. 

Gli scaramantici mi perdoneranno, ma adesso l’inevitabile domanda è: dove può arrivare questa squadra? È una domanda che in tanti provano a eludere, lo stesso Sarri ha definito quella parola di otto lettere una bestemmia. E invece è un quesito fondamentale. Cui ovviamente non bisogna rispondere oggi. È presto, tremendamente presto. Sarri ha portato a termine molto prima del previsto la fase uno del suo lavoro: restituire consapevolezza dei propri mezzi a questi calciatori (che, sapete come la pensiamo, l’anno scorso hanno portato a casa risultati importanti). Far esultare Higuain a un gol di un compagno è una delle imprese più impensabili compiute dal toscanaccio nato a Bagnoli. Superiore all’unico gol incassato in sei partite. Fin qui il Napoli ha giocato tutto sommato col cervello libero, senza particolari tensioni. È rimasto per un paio di mesi al riparo dai riflettori mediatici. Da ieri sera non è più la stessa cosa. Ma anche in questo caso l’alchimia del gruppo può fare miracoli. Un amico questa mattina mi ha fatto quello che ritengo l’esempio più calzante: il Verona di Osvaldo Bagnoli, una macchina perfetta in cui ciascun ingranaggio sapeva perfettamente che cosa fare e che strada facendo prese consapevolezza dei propri mezzi fino a raggiungere l’incredibile traguardo. Vedremo.

Quel che è certo è che, al di là del traguardo finale, Sarri ha vinto la sua scommessa più importante: ha dimostrato di essere un allenatore vero, di poter sedere su una panchina importante. E sicuramente, complice anche la sosta per la Nazionale, invoglierà i media a cercare i tanti Sarri sparsi per l’Italia. Poi, non siamo nati ieri, sappiamo bene che non saranno tutte rose e fiori. Altri momenti, ben diversi, verranno. Ed è dalla capacità di saperli affrontare e superare che capiremo effettivamente dove può spingersi il Napoli. Ma Sarri ha dimostrato che questa è una squadra viva. Che questi calciatori non sono affatto brocchi, come buona parte dell’ambiente invece gridava. Che non c’era affatto bisogno di una campagna acquisti inutilmente roboante (come il caso Bertolacci dimostra). Insomma, anche quest’anno il Napoli sembra poter recitare un ruolo da protagonista nel calcio italiano. E abbiamo perso il conto delle stagioni consecutive. Un filo lungo che da Reja passa per Mazzarri, Benitez e arriva a Sarri. Settimo allenatore di una gestione competitiva almeno al livello delle continue critiche ricevute. 
Massimiliano Gallo

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