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De Laurentiis è odiato dai napoletani perché in fondo è come loro. Freud lo definirebbe il perturbante

De Laurentiis è odiato dai napoletani perché in fondo è come loro. Freud lo definirebbe il perturbante
Aurelio De Laurentiis (Ciambelli)

Essere nati a Napoli significa prendere parte, volenti o nolenti, a una nevrosi collettiva e costante. Tanto vale esserne consci ed attrezzarsi di conseguenza. Il calcio, ovviamente, non fa eccezione in merito, anzi il suo carattere quasi mitico lo rende paradigmatico trasformandolo in una potente lente d’ingrandimento puntata su noi stessi, singoli e parte di una comunità.

Soffermiamoci, allora, sulla figura principe della psicosi calcistica cittadina, il signor Aurelio De Laurentiis. Circa dieci anni alla presidenza, con il tabellino di marcia che conosciamo, destinatario esplicito di tutte le locuzioni criptiche quali “è colpa della società”, “mancano i dirigenti”, “non si investe nelle strutture”, nelle ultime ore tornato bersaglio del fuoco amico, nemico e para-amico (quest’ultimo il più infido). Come mai una personalità come questa, di certo controversa ma non priva di successi, non è stata mai veramente amata dal pubblico napoletano? L’avidità? L’ingenerosità? La disonestà intellettuale? La scarsa passione? Lasciamo le soluzioni banali a chi ci si diverte e accomodiamoci sul lettino dello psicologo.

Visto dall’esterno, non esiste persona che, meglio di Aurelio De Laurentiis, compendi e racchiuda tutte le caratteristiche salienti dell’immagine di napoletano nel mondo. Il presidente del Napoli è quasi la definizione stessa di idea di napoletano, risponde a tutti i luoghi comuni che i napoletani amano citare su se stessi, ivi compresi gli atteggiamenti più border line che sovente si venerano alle falde del Vesuvio. Animo guascone, generatore di promesse e spergiuro all’occorrenza, concreto e scaltro negli affari, irrispettoso dei rituali fino a fuggirne in motorino, masaniello naïf contro i poteri delle sovrastrutture eppoi amico delle sovrastrutture dove è necessario. Persino dove la critica cittadina si addensa in maniera più accanita – e, oserei dire, vigliacchetta – non si assiste a differenze di comportamenti tali da giustificare tanta acredine. Ad esempio, è davvero curioso osservare gli strali censori colpire il famigerato organigramma del Napoli, imbottito di moglie e figli del presidente, provenire da una delle città col più alto tasso di nepotismo della nazione, in cui non solo non si contano i medici figli di medici, gli avvocati figli di avvocati, i farmacisti figli di farmacisti e così via lungo schiatte e alberi genealogici intricatissimi, ma nella quale quasi tutta la prole ha lottato per beneficiare di quanto i genitori avessero messo a disposizione. Se da una parte ciò di certo non rende un c.d.a. di mamme e figli particolarmente moderno e proiettato al futuro, il fatto che chi lo critica abbia percorso strade analoghe (forse solo meno ricche) dovrebbe portare ad una certa simpatia per l’uomo De Laurentiis, anzichenò. Così come poco contano i natali romani e traditori per una persona che ad ogni pie’ sospinto si inchina dinanzi alla règia potenza napoletana, prima sfottendo Cavour, poi parlando dell’amore per la città come condizione necessaria per venirci a giocare. E anche la polemica sui trofei troppo piccoli e troppo poveri non regge: si comprenderebbe una qualche freddezza, lo scetticismo nei confronti di chi vuole gonfiarsi il petto più del dovuto, ma non si giustifica uno stadio vuoto e l’attacco violento fino alle estreme conseguenze, con ex giocatori, ex bandiere, politici e giornalisti in cavalleria contro il bestemmiatore capitolino.

Tralasciando, come detto, le soluzioni banali, torniamo sul lettino. Ora che abbiamo discusso il caso, sentiamo quale analisi ci suggerisce il signor Sigmund Freud. Ci racconta che circa un secolo fa scrisse uno studio dal titolo Il Perturbante – titolo della cui traduzione in italiano non è troppo contento. Infatti il termine originale, spiega, è tedesco, precisamente Das Unheimliche, e contiene il cuore della risposta al nostro quesito. Heimlich viene da heim, casa, ed ha il suo contrario in Un-heimlich. Ciò che rende queste parole interessanti è che esse sembrano contenere in sé un significato ed il suo contrario: Heimlich esprime il senso di familiarità, agio, ma anche quello del nascondere e tenere celato. Analogamente Unheimlich indica ciò che è ignoto e fuori dalla nostra conoscenza ma anche disvelato, non nascosto.

“Strano, vero?”

Saremmo infatti portati a pensare che ciò che ci è familiare sia anche chiaro e alla luce del sole, e viceversa sia coperto quanto ci è ignoto. Ma, appunto, tralasciamo le banalità. Il Perturbante, dicevamo, “è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato”.

Quand’è che proviamo questa sensazione, che ci sentiamo perturbati? Ci capita quando abbiamo di fronte qualcosa che ci assomiglia molto, quasi terribilmente – un sosia, un doppio, un gemello, qualcosa di quasi troppo umano e troppo simile, nel quale poi scorgiamo un minuscolo comportamento, un dettaglio che sfugge alla nostra comprensione, che ci appare fuori chiave, strano, non ci torna. Per esempio davanti a robot troppo umani, troppo perfetti, disegnati per sembrare nostri specchi, che prima ci attraggono in un legame empatico forte e che poi scopriamo artificiali e diversi nel modo curioso di sbattere le palpebre, o muovere le labbra. E allora ci repellono. Risultano raccapriccianti. Ne abbiamo paura.

Il signor Aurelio De Laurentiis è troppo conforme alle linee guida del manuale del napoletano. Ne rispetta intemperanze e virtù, capacità e limiti , tutti nella sua medietà. I napoletani ci si rispecchiano in modo cristallino in un silenzioso legame di fratellanza. Ma c’è poi un dettaglio che salta all’occhio e che non torna, quando ci si avvicina molto a questo specchio, ed è il fatto che in questo mare di comportamenti familiari il signor Aurelio De Laurentiis sia riuscito anche a sfangarla. A vincere – molto, poco, largo o stretto è irrilevante – senza intorbidire l’acqua con il compromesso che spalanca la strada al ricatto. E questo rende il quadro raccapricciante, trasforma il napoletano doc in un bersaglio da colpire. Perturba.

“È tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato. E quanto affiora è di solito una emozione, un desiderio perduto nel tempo, che nella vostra storia avete deciso di rimuovere, di non raccontarvi più, e che si è trasformato poi in una angoscia che ritorna, come una eco, quando siete perturbati”.

Siamo in silenzio. Sul nostro lettino.

«E quale potrebbe essere questo desiderio che abbiamo rimosso, dottore?»

«A Napoli essere felici fa male. Fa male la bellezza. In tedesco diciamo “una casa unheimlich” per indicare ciò che voi chiamate “una casa abitata dagli spettri”. Ecco, Napoli è una città unheimlich. Dicotomica, duale, doppia. Una città che parla continuamente al suo sosia. I napoletani parlano con gli spettri da tempo immemore, e per tenerli sopiti devono tenere sopita la bellezza, perché ogni bellezza scova un gemello in una ferita».

Tornando al signor Aurelio De Laurentiis. Con lui è affiorato un segreto: che se ci si prova – a volte con l’olio del pane e peperoni sulla scrivania, altre facendosi portare dall’ambizione di un sogno continentale – e lo si fa senza indebitarsi, senza rendersi boccone facile in un inferno di iene che aspettano, si può fare. Si fanno parlare gli spettri, certo, ma è l’unico modo per procedere nell’inferno di iene, lasciando che chi vuole si perturbi continuando a sostenere che è impossibile, è insufficiente, è tutto immobile. Che tanto è nel dna.

Siamo in silenzio.

“Lei è Napoletano?”

“Si, dottor Freud”

“Gran goal di Insigne domenica scorsa. Dia retta. Non si faccia fare fesso”
Raniero Virgilio

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