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Orrico, la stagione degli allenatori filosofi e il tentativo di tirare in mezzo Sarri

Orrico, la stagione degli allenatori filosofi e il tentativo di tirare in mezzo Sarri

È stata una domenica piena di interrogativi.

Preceduta e seguita da confronti, paragoni, numeri, citazioni sul Napoli, sulle partenze di campionato, sui precedenti allenatori, sulle precedenti partenze in ogni campionato effettuate dal nuovo allenatore del Napoli, Maurizio Sarri.

Prima di assitere alla partita Napoli Sampdoria, terminata 2 a 2, ho letto che il nuovo allenatore del Napoli viene paragonato a Kant da un altro allenatore, Orrico.

Corrado Orrico è stato allenatore dell’Inter, chiamato a sostituire Trapattoni, il condottiero dell’unico scudetto dell’allora presidente Pellegrini.

Alla fine degli anni ottanta, come tutti sappiamo, Arrigo Sacchi fu scelto dal Milan come allenatore e vinse scudetto e coppa dei campioni in rapida successione, e il Milan si affermò come la squadra più forte della galassia per oltre dieci anni. La maggior parte dei trofei furono vinti da altri allenatori, ma per tutti, il Milan degli anni 90 “è” il Milan di Sacchi .

Sacchi non aveva curriculum all’altezza, e tutti conosciamo lo scetticismo che accompagnò il mister: raccontarlo è futile. Fino al 1988 l’allenatore passava attraverso una trafila netta, leggibile: ex calciatore, non fortissimo ma longevo, con grandi qualità umane e tattiche, che arrivava ad allenare in serie a dopo qualche promozione o qualche salvezza tranquilla, oppure allenatore dai pulcini alla prima squadra. Arrivavano alle grandi squadre già saggi, maturi e rigorosi .

Per reggere un confronto e un paragone rispetto a innovatività, capacità di acquistare calciatori costosissimi, e asciuttezza curriculare dei propri allenatori (indice di novità), Inter e Juventus, sobillati dalla stampa nazionale, puntarono tutto su due figure del tutto inadeguate: la Juventus scelse uno sconosciuto e fortunatissimo allenatore del Bologna, e l’Inter ingaggiò Orrico dalla Lucchese. La Lucchese aveva sfiorato la serie A, e questo fu sufficiente a dipingerlo come il Sacchi nerazzuro, come l’uomo derby, come il nuovo calcio che si affermava a scapito dei dinosauri Trapattoni, Bersellini, Sonetti, Bianchi: cosiddetti “sergenti di ferro” che avevano fatto invecchiare il calcio italiano. Una nuova generazione di allenatori si andava affermando: il visionario, il folle, il rivoluzionario: il filosofo.

Così, sfogliando l’intervista a Orrico, riconosco in lui i tratti del filosofo divenuto oramai eremita, scottato dalla grande luce della ribalta milanese che in un paio di mesi da filosofo lo precipitò in un bidone, evolvendo poi la figura dell’allenatore filosofo in allenatore farneticante, ultima spiaggia per squadre in collasso totale, come furono nell’ultimo straziante periodo della sua vita “il professore” Scoglio, o come appare lo spettinato Malesani, una volta giovane filosofo, che sembra ormai sempre sull’orlo di una nevrosi.

Oggi quindi Orrico è un eremita che riconosce filosofi tra i contemporanei. Come si tramanderà la filosofia negli ambienti degli allenatori?

Già nel mondo del lavoro mi pare una cosa difficile. Immaginiamo alle poste due impiegati che si passano, il lunedì dopo la chiusura domenicale, qualche manualetto con aforismi di Schopenauer, commentandoli, e commentando gli episodi di assoluta verità che si compiono dinanzi ai propri occhi ogni giorno utilizzando gli strumenti del linguaggio dei grandi studiosi del pensiero. Due impiegati filosofi porrebbero domande che i clienti in fila, concentrati solo sull’invio della lettera o sul pagamento di una bolletta, potrebbero ritenere inopportune.

“Non appena spedita questa lettera non esisterà più se non nello sguardo di un altro, non lo trova buffo?”

“Se lei continua a pagare per un suo diritto, riduce il diritto a una merce”.

Sarebbe il caos.

Forse a Coverciano ci sono dei corsi speciali, ma non ho mai visto allenatori sostenere l’istituto degli studi filosofici e l’avvocato Marotta, o commentare le sconfitte con le riflessioni di Aldo Masullo, per citare qualche studioso ancora presente e attivo in città.

Il sospetto è che la storia degli allenatori filosofi sia un po’ come la storia degli anziani del bar del paese, che facendo roteare l’indice sulla tempia quando passa lo scemo del villaggio, lo apostrofano “filosofo”.

Mi pare la storia della ragazza che invitai al cinema e mi chiese se avevo intenzione di guardare il film e fare “il filosofo” o di accettare i suoi generosi inviti alla promiscuità.

Mi pare la storia del preside che giustifica le incongruità del comportamento di alcuni professori parlando a voce bassa con gli studenti e ammettendo, suo malgrado, che il professore è fatto così, è un po’ “filosofo”.

Spero che Sarri non abbia la stessa sorte di Orrico.

Dopo la partita, che i lettori avranno già abbondantemente discusso e sviscerato in tutti i suoi temi, è comparso l’allenatore del Napoli.

Verso la fine dell’intervista, al giornalista che percepiva nell’ambiente un certo nervosismo, l’allenatore ha dichiarato gli obbiettivi della squadra: gli obbiettivi della squadra saranno gli obbiettivi che la società dichiarerà al termine della campagna acquisti.

Al presidente dunque l’ultima risposta.

Allora ho ricapitolato la frase di Orrico su Sarri, sul suo paragonarlo a Kant, e scompongo questi primi mesi da tifoso incerto aggrappandomi a reminiscenze scolastiche: ragion pura (che cosa devo sapere) e ragion pratica (che cosa devo fare) lasciate all’allenatore, che si sente forte della sua ragione, e il Giudizio (che cosa mi è lecito sperare), affidato alla decisione del presidente, l’unico padrone del destino dello stadio, della squadra, del futuro del Calcio napoli. Però De Laurentiis non è un presidente filosofo, e tace, lasciando ai filosofi le conclusioni.

In quegli spazi vuoti sugli spalti e tra le linee dei difensori del Napoli, proietto la stessa inquietudine che mi accompagna nelle strade deserte della città: che cosa mi è lecito sperare?

Come sempre un filosofo mi rovina la giornata, e sprofondo nel dubbio.

Nel dubbio, mi astengo.
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