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Leggendo Malacqua e Marai ho capito che Benitez ha chiesto a Napoli l’impossibile: diventare adulta

Leggendo Malacqua e Marai ho capito che Benitez ha chiesto a Napoli l’impossibile: diventare adulta

Qualche anno fa, alla prima stagione europea del Napoli, la notizia di essere stati  inseriti in un girone di Europa League con il Liverpool fu infelicemente commentata dall’allora direttore generale Bigon con una battuta infelice sul come i tifosi del Napoli fino ad allora il Liverpool l’avevano affrontato giusto sulla PlayStation. Seguì contestazione generale e, tra le altre, una gustosa reprimenda di Carratelli sul Napolista. Poche settimane fa invece, sulle stesse colonne del Mattino leggevo basito un suo elogio della “provincializzazione” a seguito della partenza di Benitez. Questo atteggiamento francamente schizofrenico che ha portato buona parte di tifosi e la quasi totalità della stampa a elogiare ciò che anni prima era aborrito ed esacrato è sicuramente riconducibile alla figura dell’allenatore spagnolo che ha scatenato odi feroci fin dai primi giorni del suo arrivo. Francamente ho fatto parecchia fatica a comprendere il perché di questa ostilità preconcetta, ma alla fine credo di averne trovata la chiave in due libri, diversissimi tra di loro.

Recentemente, complice un viaggio intercontinentale, ho infatti finalmente  preso in mano Malacqua di Pugliese, che comprato a Natale a Napoli, era rimasto qualche mese a prendere polvere sul mio comodino in attesa dell’occasione giusta per leggerlo. Del resto la curiosità sul testo, complice l’autorevole imprimatur di Calvino e la sua scomparsa ventennale dagli scaffali delle librerie, era tale da non consentire una lettura superficiale o svogliata. Il libro è un romanzo corale, un impasto di amore e morte che ha Napoli come protagonista indiscussa, una Napoli inusuale, perennemente sotto la pioggia, ma viva e non certo decadente o chiusa su stessa. Nel mio piccolo il testo di Pugliese mi è piaciuto e non faccio fatica a immaginare l’entusiasmo dell’autore del Visconte Dimezzato per uno scrittore capace di scrivere episodi come quello del mare che risale Montedidio alla ricerca degli scugnizzi, o quello delle monete cantanti, anche se alla fine lo ritengo inferiore a altri romanzi napoletani come “Ferito a morte” o il “Resto di niente”. Comunque come tutti i bei libri Malacqua ti lascia un retrogusto, che ti permette di assaporarlo a lungo dopo la sua lettura. Ed è così che, assaporandolo dopo la lettura, mi è sembrato di cogliere un’assonanza profonda con un testo a prima vista agli antipodi dell’opera di Pugliese. In effetti “Il sangue di San Gennaro” di Sandor Marai sembra essere proprio l’opposto di Malaqua. Diversissimi gli autori, uno un giornalista che per anni ha vissuto a Napoli, intellettuale mitteleuropeo giusto di passaggio a Napoli l’altro. E se Pugliese rende protagonista del suo romanzo una Napoli che rompe tutte le oleografie, Marai invece di quelle oleografie ne fa un raffinatissimo distillato e disegna una Napoli solare, bucolica, primigenia e la rende sfondo del suo testo. 

Tuttavia se temi e struttura dei romanzi differiscono colgono però entrambi due caratteri profondi della città. Il primo è sicuramente la precarietà della vita propria e altrui, dell’amore, delle relazioni, in una città che da 150 anni ha perso il suo ruolo di capitale senza sapersene costruire uno diverso, vivendo precariamente alla giornata, senza scopo o missione. Il secondo è quello che chiamerei il razionalismo magico: in Marai l’unica cosa logica, razionale da fare nelle condizioni disperate della Napoli dell’immediato dopoguerra è l’attesa di un miracolo, per Pugliese il verificarsi del fenomeno magico quale che sia non desta meraviglia, ma viene tranquillamente gestito dall’autorità costituita, sia essa il comune o i carabinieri. E questo tutto sommato in linea con una città che normalmente attende che ogni anno negli stessi giorni avvenga il miracolo di San Gennaro. Ecco dunque che Benitez a mio parere è andato contro questi caratteri profondi della città.

Chiedendo business plan e programmazione rompeva la precarietà, chiedeva di darsi uno scopo e lavorare per quello. Il “sin prisa pero sin pausa” che presupponeva una lenta ascesa cozzava violentemente contro il razionalismo magico, il suo Napoli era un Napoli bottom-up costruito dal basso, che confliggeva con una squadra che ha vinto solo quando ha rotto ogni criterio di programmazione prendendo, in un incredibile modello top-down, prima il campione assoluto e poi dopo affiancandogli giocatori almeno decenti, e proprio per questo carattere miracolistico entrata subito nel cuore della gente.

Benitez ha dunque pagato il fatto di aver chiesto al Napoli e a Napoli di diventare adulte, di abbandonare certe sue identità, di darsi uno scopo, un’idea quando è chiaro che sia scopi che idee mancano da questa città da ben più di 50 anni.
Eugenio Angelillo

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