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Il Napoli è spento, stagione deludente, e club con poco appeal sul mercato

Il Napoli è spento, stagione deludente, e club con poco appeal sul mercato

A prescindere dalla richiesta (legittima) di far disputare in concomitanza il derby romano e Juventus-Napoli, non sarà la squadra di Dnipro e quella contro il Cesena che porteranno buone notizie azzurre da Torino.

C’è un clima di resa sottopelle tra le paturnie di Higuain, la lunga linea grigia di Callejon, la difesa che sta a guardare, il bel gioco che è svanito e l’incapacità, in difficoltà, di governare le gare.

Un Napoli spento, forse sotto il peso di una stagione deludente, è chiamato a un miracolo contro un avversario esaltato da un possibile triplete, che non lascia mai nulla e che a questa partita col Napoli ci tiene per le continue polemiche e la rivalità storica.

Non sarà un vantaggio neanche incontrare le “seconde linee” bianconere, se così sarà, perché anche le seconde linee si chiamano Juventus , un club che ha un solo obiettivo costante, vincere.

Nel Napoli non si avverte la carica per giocarsi a Torino le sue chance. Magari influiscono l’annunciata rivoluzione tecnica, le ultime prestazioni mediocri, la contestazione dell’ambiente. Ma in campo, poi, ci vanno i giocatori. Dove sono più i giocatori del Napoli che promettevano una stagione positiva?

La squadra si è liquefatta. Qualcuno ha ancora voglia di battersi, Insigne da napoletano vero quando viene impiegato, Mertens e Ghoulam, in parte Hamsik, Gabbiadini sempre in un ruolo diverso, Maggio che ha ritrovato la sua corsa generosa. Maglie sudate a fine partite (a parte il caldo) non se ne vedono. Mancano un leader in campo, un trascinatore, un lottatore irriducibile di esempio agli altri.

Forse è colpa del Napoli “internazionale” troppo estraneo alla storia azzurra, professionisti cui manca il cuore, e spesso i muscoli, per essere gli interpreti di una passione sconfinata, non ne sentono la sollecitazione. Prendono le partite come vengono, disattenti e nervosi alle prime difficoltà, senza rabbia professionale e agonistica mentre si sfilacciavano le qualità tecniche.

Gli undici anni di De Laurentiis sono ricchi di risultati relativi. Un secondo posto e due terzi in campionato, le partecipazioni europee (due Champions, tre Europa League), due Coppe Italia e una Supercoppa italiana in bacheca, ma forse ci vogliono più tempo, più soldi, più fortuna per creare una squadra ben definita nella sua personalità di grande concorrente.

Il progetto Benitez è declinato non solo per la cieca fiducia tattica del tecnico madrileno, ma perché i giocatori non l’hanno fatto proprio sino in fondo con i sacrifici necessari e la completa dedizione all’allenatore.

Non serve dire che il Napoli non è mai stato “così in alto” come in questi anni, non è neanche esatto. In alto, ma a guardare gli altri vincere, e bisognerebbe valutare le circostanze del passato, le condizioni diverse e spesso proibitive, la consistenza dirigenziale frequentemente dilettantesca. Le vittorie con Maradona sono costate il fallimento.

Alla società azzurra di oggi, cui manca una vera struttura di club vincente, tutto riducendosi al presidente, dopo il fallimento del 2004 non si può imputare molto. I conti sono in ordine con le modeste risorse a disposizione, non dovremmo finire di nuovo in tribunale. I tecnici che si sono succeduti hanno fatto quello che potevano. La squadra si è collocata nelle prime posizioni del calcio nazionale.

E’ mancato il guizzo finale e vincente per i limiti strutturali di società e squadra. In queste condizioni non era pensabile pretendere la luna. Si è parlato a sproposito di scudetto e la possibile finale europea a Varsavia è stata gettata alle ortiche.

Il passato è passato, quale sarà il futuro del Napoli? Se non sono bastati undici anni a crearlo, concreto, vincente e duraturo, ora che c’è in vista il quinto cambio della guida tecnica, e molti stranieri vivono qui da esiliati, significa ricominciare un progetto, un’idea, una programmazione più vasta. Con quali mezzi e con quali uomini? Alla squadra mancano un cuore robusto e la forza di un gruppo trascinante.

A parte i “richiami” di Benitez e qualche colpo di De Laurentiis (Cavani), di Marino (Hamsik, Lavezzi), di Bigon (Gabbiadini), il Napoli è nudo sul mercato. Non è solo una questione di soldi, ma di capacità, conoscenze, appeal.

Allora, sarà più corretto non promettere niente. Ma, almeno, fare una squadra più solida, rendendo solidi difesa e centrocampo perché, alla fine, più di cento gol a stagione vanno sprecati. Sognare un Napoli protagonista è bello. Pensare concretamente, invece, senza arrendersi ad avere una squadra bella e impossibile, che passa facilmente dalle stelle alle stalle. Rimanere in alto, certo, ma cercando di avanzare di qualche gradino.

Abbiamo limiti obiettivi. E il coraggio e la fortuna raggiungono traguardi relativi. Forse è questa la storia immutabile del Napoli, il grande comprimario azzurro cui Maradona, più nessuno come lui, semmai ne verrà un altro, regalò un’epoca di felicità.
Mimmo Carratelli 

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