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Una squadra che ha giocato sempre con la pistola puntata alla tempia. Napoli ha rigettato il corpo estraneo Benitez

Una squadra che ha giocato sempre con la pistola puntata alla tempia. Napoli ha rigettato il corpo estraneo Benitez

La sconfitta a Torino, contro una Juventus in versione festeggiamenti per lo scudetto, estromette (a meno di una comunque possibile vittoria della Roma nel derby) il Napoli dalla Champions League. La seconda esclusione consecutiva, vista l’eliminazione ai preliminari contro l’Athletic Bilbao. Il 3-1 subito allo Juventus Stadium, col secondo gol incassato nel nostro momento migliore, ha ovviamente scatenato l’ambiente napoletano (in primis i media col contorno dei tifosi che comunque vanno a traino). Il boato si avverte fisicamente. L’esercito avanza scandendo le parole “fallimento” e “vattene”, dedicate innanzitutto a Rafa Benitez e in seconda battuta ad Aurelio De Laurentiis da alcuni considerato il principale responsabile che però si salva con qualche uscita alla “mazza e panella” che gasano l’ambiente.

Benitez a Torino ha lasciato di nuovo in panchina Hamsik. Tra Dnipro e Juventus è stato di fatto esplicitato il rapporto difficile tra i due. Alle spalle di Higuain sono stati schierati, non per la prima volta, Insigne Mertens e Callejon. Abbiamo fatto un tiro in porta al quinto minuto e nulla più. Loro un gol e ci hanno scherzato. Nell’intervallo, Benitez ha lasciato fuori un imbarazzante Higuain e al suo posto ha schierato Gabbiadini. Il Napoli ha giocato. Ha segnato su rigore (o meglio, su respinta perché anche Insigne se l’era fatto parare) ed è andato vicino al gol in tre-quattro occasioni (il colpo di testa di Gabbiadini possiamo considerarla una potenziale occasione da rete). Poi Sturaro ha fatto fuori Albiol e segnato il 2-1. E infine il rigore di Pepe dopo la testata di Britos a Morata.

Il rapporto tra il Napoli e Benitez sembra ormai ai titoli di coda. A novanta minuti dalla fine, per buttarla sul cinemtaografico. Un rapporto tormentato. Come ha scritto Carratelli, la critica si è immediatamente spaccata sul tecnico spagnolo. Voi, ovviamente, dove si è schierato il Napolista, che in questi giorni – sotto la voce rafaeliti – ha conquistato citazioni su un bel po’ di giornali, tra edizioni on line e cartacee, lo sapete. L’intento è dire: “vedete, cari rafaeliti, com’è finito l’amor vostro (cit.)?”. Che in fondo è stata dal primo giorno l’aspirazione di tanti. Gli stessi che all’indomani di ogni altisonante vittoria (non sono certo mancate) hanno fatto sgrat sgrat sugli specchi con l’arretramento di Hamsik, l’avanzamento di Andujar, il terzo centrocampista, il quinto difensore, gli allenamenti in privato dei calciatori e così via. 

Benitez non se n’è sceso. E non se n’è sceso perché, fondamentalmente, non ha derogato da sé stesso, dallo straniero fondamentalmente anglosassone (e comunque i castigliani sono i tedeschi del Mediterraneo), dalla sua visione delle cose, del calcio come di altro. 

Resta fondamentale, per comprendere Rafa, il forum che lui tenne al Corriere del Mezzogiorno lo scorso anno. C’è tutto lì. Non si è posto in contrapposizione alla città, anzi, ma ha sempre detto: “se volete vincere, dovete cambiare”. E ovviamente noi gli abbiamo sempre opposto la nostra carta segreta, quella buona per ogni occasione. Insomma, Lui. E solo quella potevamo e potremo opporre. Nei secoli dei secoli. Lui. Che quando arrivò, l’hit parade vedeva primo Raf con Self control e Gianna Nannini seconda con Fotoromanza. 

Ma come? Chist ce vo’ ’mpara’ o pallone a nuie? Nuie???? Nuie ch’amma avuto… Amma avuto. Trent’anni fa. Ogni venticinque, la Cia svuota i cassetti. 

Vabbè Gallo, stai svicolando come al solito. E svicolando svicolando, m’è venuta in mente una cosa. Vi ricordate come cominciò la scorsa stagione? Quattro vittorie consecutive e successo sul Borussia Dortmund. Poi arrivò il Sassuolo. Finì 1-1 e sapete cosa successe? Il San Paolo fischiò. Al primo pareggio! E certo, l’Inter di Mazzarri gliene aveva dati sette, in trasferta! I media si mangiarono Rafa per il turn over (che è stata un po‘ la nostra Bocca di rosa, ha sconvolto il paesello). Il sabato successivo andammo a giocare a Genova in un clima da ultima spiaggia (nel frattempo avevamo perduto a Londra contro l’Arsenal) e lui schierò Pandev e Zapata. Vincemmo ma facemmo fiuuuu.

È stato sempre così. Per due anni. Una squadra che ha giocato con la pistola puntata alla tempia. Sempre. Potrei scrivere centomila battute su questi due anni. Una cosa, però, mi fa piacere ricordare. Il San Paolo fischiò anche l’anno prima, c’era Mazzarri in panchina, al termine di un Napoli-Sampdoria. E qui, sul Napolista, qualcuno scrisse quest’articolo in cui parlò di mutazione antropologica del pubblico del San Paolo. E Rafa non c’era ancora né qualcuno poteva immaginare che un giorno ci sarebbe stato. Non sopportiamo la tensione. Meglio perdere subito che provare a vincere e rimanere delusi.  

Il Napoli quest’anno ha con ogni probabilità fallito la conquista della Champions. Ma da qui a parlare di fallimento per me ce ne corre. Benitez è arrivato con l’obiettivo non di vincere lo scudetto ma di instradare il Napoli in un progetto di crescita internazionale. Per consentire a questa squadra di provare a vincere non una volta ogni cinquant’anni (quando arriva il calciatore più forte del mondo) ma con più frequenza. L’obiettivo è lì, sotto i nostri occhi. Il Napoli ha giocato 59 partite, ha partecipato a cinque competizioni, si è abituato a giocare tre partite a settimana. Ormai ci siamo dimenticati tutto. Bastava un turno infrasettimanale per mandarci in crisi. Quest’anno, di fatto, non abbiamo avuto una settimana libera. E poiché noi non abbiamo una storia europea, non possiamo consentirci di sputare su una semifinale di Europa League. Perché ne abbiamo disputate tre in sessant’anni. Tre in sessant’anni.

“Ma nuie vulimme ’o scudetto”. E mi sa che la pretesa è fuori luogo. E i media dovrebbero aiutare a comprendere, invece di soffiare sul fuoco. Così come il presidente De Laurentiis dovrebbe uscire dall’ambiguità. E invece ciacca e medica. Prende l’allenatore internazionale, poi però prova a far pace con la piazza mostrando il bastone. Se il progetto è chiaro e la società forte, si hanno le spalle sufficientemente larghe per superare gli anni in cui gli obiettivi (la Champions) non vengono raggiunti. Non lo ha raggiunto Bielsa a Marsiglia né, quest’anno, Klopp a Dortmund (lasciamo stare com’è stato salutato dal pubblico), come scrive giustamente Anna Trieste su Twitter. Ma se alle prime contrarietà si cambia registro, beh allora non c’è speranza. E poi, come dice spesso Sconcerti, De Laurentiis è troppo concentrato su Napoli. Parla di internazionalizzazione, poi però raramente si rivolge a una platea italiana o europea. È chiuso anche lui in questi angusti confini, dove un tecnico desiderato dal Real Madrid diventa un chiattone incompetente. A De Laurentiis non rimprovero la deficitaria campagna acquisti ma il non aver voluto (o forse saputo) proteggere adeguatamente questo progetto. Anche la prospettiva di Mihajlovic è incoerente e sembra soltanto un modo per ingraziarsi il pubblico o meglio la parte più rumorosa del pubblico (per questo, non per altro, siamo contrari a un suo ingaggio e lo saremo finché non firmerà. Ma se e quando sarà allenatore del Napoli, lo sosterremo. E vedrete che alla fine resteremo in pochi a farlo). Così come l’altro errore è stata la cattiva gestione interna, da parte sua e dell’allenatore, del loro rapporto con la squadra. Una squadra, va detto, un po’ troppo labile e che in più di un’occasione è venuta meno. A partire dal suo calciatore più rappresentativo.  

Sì vabbuò Gallo, la verità è che ha fallito e che non ha capito il calcio italiano. Sulla prima ho gia detto. La seconda? Non era venuto per capirlo. E chi lo ha ingaggiato lo sapeva e lo sa. Non gli interessa capirlo. Del resto, basta leggere i rumours di questi giorni per comprendere che la sua vita professionale non finirà a Napoli. Anche perché temo che giornali e tv napoletane non sono accessibili all’estero e quindi qualcuno continua a presumere che si stia parlando di uno dei più grandi allenatori al mondo. 

È finita così. È finita male. Non tanto per i risultati ma per tutto quel che è emerso. Come in un trapianto, Napoli ha rigettato il corpo estraneo. È questo il punto. I risultati o, meglio, la percezione dei risultati ne è stata solo una conseguenza. Sono stati due anni fantastici. Chiusi con la sgradevole sensazione di aver perduto un’occasione difficilmente ripetibile.
Massimiliano Gallo

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