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Benitez mi ricorda De Masi: messo alla porta a Ravello e premiato a Brasilia con la cittadinanza onoraria

Benitez mi ricorda De Masi: messo alla porta a Ravello e premiato a Brasilia con la cittadinanza onoraria

Scrivo di proposito prima della partita di Torino. E, per giunta, al risveglio che è il momento della giornata nel quale generalmente si è più lucidi. Spero di non essere frainteso, quindi, se affermo di essere e di non sentirmi tradito da Benitez se accetterà di allenare il Real o qualsiasi altra squadra d’Europa. Per spararla tanto grossa e farlo nel modo più convincente è giusto che sia al di sopra di ogni condizionamento emotivo. Soprattutto perché la posta in palio è decisiva per il giudizio che si darà di questa annata dolceamara. O, meglio, che noi daremo perché gli altri, i non rafeliti, lo hanno già dato pensando di pancia, non di testa.

Al riparo di questa condizione psicologica – pur velata da una comprensibile ansia da prestazione – sono più in grado di dare forza alle ragioni per le quali un tifoso moderato, e in qualche modo saggio – per quanto si possa essere saggi scrivendo di uno sport che impone a tutti, scriba compresi, di essere sempre al disopra delle righe – deve obbligatoriamente scegliere la strada sulla quale ci siamo incamminati in molti a Napoli non appena ci è apparso chiaro di che pasta umana e di quale spessore culturale era dotato Rafa. Lontanissimo un miliardo di miglia dal Banfi-allenatore macchietta. E dal suo milieu che ancora impazza. Essere rafaelita a Napoli, in una sola parola, non significa essere tifoso di Benitez, ma, al contrario, vuole dire privilegiare un approccio calcistico serio, scrupoloso e onesto in luogo di quello spocchioso, ciarliero e sputasentenze (false) al quale il nostro campionato ci ha abituati.

Ecco, sono rafaelita per questi motivi, come sono stato uno strenuo sostenitore di De Masi e mi sono indignato per il modo becero e rozzo con cui è stato messo da parte a Ravello dopo che era riuscito a realizzare una impresa che tutto il mondo ci invidia, al pari dei Faraglioni e del Vesuvio, cioè la costruzione di un auditorium sospeso, come una nuvola, nel cielo della costiera amalfitana. E disegnato, per giunta, dal più grande architetto del mondo, il brasiliano Oscar Niemayer. Tutto inutile, con la conseguenza che a Brasilia De Masi è stato premiato con la cittadinanza onoraria ma a Ravello è stato messo brutalmente alla porta da Brunetta. Corsi e ricorsi della vergogna – ne potrei fare tanti, ma ho scelto De Masi condizionato dal piacere che mi ha procurato leggere il suo ultimo libro: Tag, le parole del tempo – il caso Ravello è speculare al caso-Benitez. Rafa è corteggiato dal Real e dagli altri top club europei, e misconosciuto a Napoli. Anzi, è brutalmente maltrattato, come ancora ha fatto in questi giorni, da Massimo Mauro, presentato, calcisticamente, come mezzo napoletano e mezzo juventino, che a mio modesto avviso è una definizione del tutto sbagliata e, peggio ancora, fuorviante, perché la “metà” napoletana è sbiadita al punto che difficilmente si riesce a vedere.

Sono sicuro che Fabrizio Bocca, commentatore elegante e ben dotato di argomenti, comprenderà le ragioni dei napoletani e le farà sue. Aggiungendone un’altra che fa chiarezza definitiva: essere rafaelita a Napoli significa accettare senza remore che sulla panchina di Benitez si accomodi un tecnico che pratichi e insegni un altro modo di stare calcisticamente al mondo. A patto, però, che si sia formato alla stessa scuola calcistica: un misto di Coverciano e di Bocconi, nel senso che educa ad un calcio-spettacolo mondato da tutte le esasperazioni pacchiane e da tutti gli “ismi”. Chiedo troppo, lo so, ma almeno fatevi una ragione se vado fiero di essere minoranza. Rispetto alla maggioranza che vedo e ascolto frequentando – molto poco, lo confesso – i canali calcistici ufficiali e di periferia. E ogni riferimento agli opinionisti “festa, farina e forca” di casa nostra è del tutto voluto.
Carlo Franco

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