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Così Giuliano Ferrara spazza via un bel po’ di luoghi comuni dell’informazione su Pompei (e non solo)

Così Giuliano Ferrara spazza via un bel po’ di luoghi comuni dell’informazione su Pompei (e non solo)

Riportiamo il reportage di Giuliano Ferrara da Pompei sul Foglio di ieri, ripubblucato dal sito Dagospia

Prendo la Circumvesuviana e vado a Pompei a visitare gli scavi della città romana goduriosa e chic sepolta dalle ceneri e dalla lava e riscoperta nel tempo del romanticismo archeologico.

E’ un giovedì di primavera fresca e con il sole, è mattino presto, ieri. Sono pieno di stupide paure causate dal traumatismo dell’informazione banalmente apocalittica e mestatoria, che vuole fortissimamente vuole tutto compreso e stravolto in una perenne shit storm.

A mezzogiorno e un quarto sono di ritorno in uno splendido bed & breakfast di Port’Alba, affacciato sulla piazza Dante che brulica intorno al monumento, da cui si scorge il principio di via Toledo, che per Herman Melville era la strada europea più simile alle avenue di Manhattan.

Il viaggio dura 40 minuti sopportabilissimi, in piedi, c’è folla turistica e pendolare, abbondanza di etnie sorridenti e di battute e intercalari piacevoli. Si passa per rioni gomorrosi come Barra, poi i nomi del miglio d’oro come villa delle Ginestre e Leopardi, sullo sfondo dell’arido misterioso Vesuvio, poi Torre del Greco dove è nato il professor Zerlenga, che è con me per la mia gioia. Infine Pompei, Scavi-Villa dei misteri.

La metropolitana più bella del mondo ferma a pochi metri dall’entrata della città sepolta. File brevissime, prezzi abbordabili allo sbigliettamento, e inizia la passeggiata dei miracoli. Lascio stare il bello, che sotto la potestà di certi nomi, come Pompei, è giusto l’ovvio.

Incontro il pulito (una bottiglietta e un pezzo di carta in circa due ore e mezzo), il ben mantenuto, operai al lavoro per ditte private appaltatrici, divise professionali, selfie gioiosi: accettano ridendo i miei complimenti per il gioiello che tengono in mano, per la perfezione, il senso (dispiegato da cartelli e opere) di progetti e investimenti attivi allo scopo di fare l’impossibile.

E’ una città di rovine in pietra, in marmo, in mattoni, in terriccio tufaceo, una città che il tempo della rovina aveva salvato sotto la terra e, scavata per i nostri studi e i nostri occhi, è stata reimmessa, come sospettavo quando leggevo le cretinate sulla rovina della rovina, nel circuito distruttivo del tempo, e finirà come tutto finisce nel non asettico clima atmosferico di pioggia, vento, intemperie, sole, elementi vari sotto il cielo.

Pompei è un paradiso di decenza e di invidiabile capacità manutentiva. E non è abitato da diavoli. Accoglie culoni tedeschi e spilungoni olandesi, e asiatici con fotocamera e italiani, e accoglie con freschezza di tratto, organizzazione non banale, interventi a copertura e a esclusione degli effetti più invadenti del turismo di massa.

I crolli, gli sfarinamenti, tutto vero e quasi tutto inevitabile, ma tutto rimediato nella cura, nella incredibile disposizione archeologica del Foro, delle case tutte censite e numerate, del Lupanare, della caserma dei gladiatori eccetera. 

Una cura che non si racconta, perché notizia decente è solo quella ansiogena, moralistica, autolesionistica, conformistica. Mosaici, strade, reperti murari del rosso pompeiano, colonne, architetture domestiche, fontane interne, affreschi: teniamo con abilità e noncurante, paesaggistica bellezza di tratto il nostro più celebre patrimonio.

La passeggiata a Pompei, nelle condizioni giuste, è un percorso d’amore e d’onore che spazza via milioni di parole inutili e sprezzanti sulla rovina della rovina. Tutte balle. Ritorno in Circumvesuviana addirittura trionfale, questa volta seduti fra normanni di due metri, nigeriani, asiatiche, stormi di napoletani, chi potelé chi più asciutto, tutti simpatici e di dolorosa consapevolezza.

L’impressione è che ci sia un paese, questo, che sa, nella sua più spettacolare metropoli archeologica, come si faccia a non funzionare piuttosto bene.
Giuliano Ferrara

E arrivati a questo punto, leggetevi anche la bella intervista rilasciata a Gianluca Abate sul Corriere del Mezzogiorno di oggi.

Giuliano Ferrara, come mai ha deciso di scrivere un articolo (pubblicato in prima pagina dal «Foglio») su Pompei, definendola addirittura «un paradiso di decenza»?

«Perché ci sono stato».

E dei crolli, della rovina, dell’incuria, di tutto ciò non sapeva niente?

«Certo che sì. Leggo i giornali ogni giorno, e dunque so tutto di crolli e rovine».

E allora?

«E allora sono tutte balle».

(Giuliano Ferrara, romano, classe ’53, è il direttore del Foglio che si è «autorottamato» e ha ceduto la guida al giovane Claudio Cerasa. È a
Napoli in vacanza con amici
).

Quando è stato agli Scavi?

«Due giorni fa, giovedì. Una fantastica giornata».

Magari l’hanno riconosciuta e trattata bene.

«Macché, sono andato lì come un visitatore qualsiasi. E ho preso la Circumvesuviana».

Com’era?

«Incasinata di pendolari».

Viaggio allucinante?

«Assolutamente no, ho semplicemente trovato la folla tipica di una grande città. Ma la fila per i biglietti era rapidissima e le indicazioni perfette».

La Circum, in genere, finisce però sui giornali per disservizi e proteste.

«È la metropolitana più bella del mondo».

Addirittura?

«Quale altro treno ti consente di viaggiare osservando a sinistra l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo e a destra il mare e il Miglio d’oro?».

Passando per «rioni gomorrosi come Barra» ha scritto, scatenando tra l’altro uno scontro sui social tra chi s’è sentito offeso e chi invece contesta il fraintendimento di un articolo positivo.

«È una polemica stupida, non voglio entrarci».

Ripartiamo dal treno.

«Puntualissimo. Quaranta minuti dopo, ero a Pompei».

Immagino le code.

«Nessuna. Certo, era giovedì e non sabato o domenica, ma esiste anche questa dimensione. E poi devo dire che l’organizzazione è cosi meticolosa che mi risulta difficile pensare a chissà quali disastri anche nei giorni di maggior afflusso».

Eppure il personale spesso viene criticato.

«Un errore, perché sono tutti carini, disponibili, con divise molto professionali. Gli addetti alla biglietteria. Gli operai al lavoro nei cantieri. I venditori di souvenir che spillano quattrini. I gestori dei chioschi. A proposito, ho bevuto una limonata buonissima fatta da una ragazza bulgara. Eccezionale».

Gli Scavi invece in che condizioni li ha trovati?

«Perfette. È stata una passeggiata fantastica in un paradiso di decenza e pulito».

Pulito? Ma se tutti si lamentano della sporcizia.

«Questo è ciò che scrivono i giornali. Io per terra, in due ore e mezzo di visita, ho visto solo una bottiglietta d’acqua vuota dietro una recinzione e una specie di santino caduto dalla tasca di un turista».

È soddisfatto anche dello stato di conservazione di Pompei, sul quale ci sono state non poche polemiche?

«Ho visto una invidiabile capacità manutentiva, ho trovato una organizzazione non banale. Roba di cui essere orgogliosi. Qualche ciuffetto d’erba c’è, ma non dimentichiamoci che parliamo di rovine di una città esposte alle intemperie».

E i crolli?

«Quelli ci sono stati, per carità. Ma sono ovvi e inevitabili. Qualche problema ci sarà sempre, perché tutto è destinato a degradarsi. Parliamo di una città riportata alla luce e dunque reimmessa nel circuito distruttivo del tempo. Finirà come tutto finisce nel non asettico clima di pioggia, sole, vento, intemperie. È un destino naturale, perciò quando leggo di rovina della rovina mi arrabbio. Sono cretinate. Balle».

Che fa, sospetta un complotto contro Pompei?

«No, più semplicemente è una caratteristica generale dell’informazione».

Cos’ha che non va?

«È nevrotica, poco equilibrata, e dunque deve assolutamente prospettare la situazione limite che ti mette in ansia, il caso estremo. È per questo che nessuno racconta la cura di Pompei: oggi notizia decente è solo quella moralistica, autolesionistica, conformistica. Un po’ come accade a Napoli».

Ha visitato anche la città?

«Certo. Ho visto il Caravaggio del Pio Monte della Misericordia tenuto benissimo dal conte Gian Paolo Leonetti. Il Duomo. La basilica di San Lorenzo Maggiore. E le Fontanelle. Lì, alla Sanità, ho trascorso due ore bellissime».

I residenti invece lamentano l’abbandono.

«Be’, ho visto anche la sporcizia, l’immondizia lasciata per terra agli angoli delle strade. Ma la Sanità è uno dei pochi posti al mondo non contaminati. Quando cammini lì ti sembra di stare negli anni Quaranta o Cinquanta».

È la prima volta che viene a Napoli?

«No, ci torno spesso. L’ho vista in diverse epoche della sua storia».

E oggi come la trova? Migliorata o peggiorata?

«La trovo meravigliosa come sempre».

Così rischia di essere accusato di ruffianeria.

«No, è che gli uomini non sono così bravi da riuscire a distruggere città belle come Napoli e Roma».

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