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Un tempo il ceto medio di Torino organizzava la marcia dei quarantamila, oggi assalta gli autobus mano nella mano coi figli

Un tempo il ceto medio di Torino organizzava la marcia dei quarantamila, oggi assalta gli autobus mano nella mano coi figli

Chissà cosa direbbe il commissario Santamaria nel vedere la sua Torino ridotta così. Chissà se, con le debite proporzioni, quel padre socialmente rispettabile che porta con sé il figlioletto nell’assalto all’autobus della Juventus gli farebbe tornare alla memoria l’architetto Garrone e quell’universo ipocrita che gravita in quel che resta della borghesia cittadina.

Che cosa è successo a Torino? Che cosa è successo a una città che oggi su La Stampa, in prima pagina, preferisce rimuovere la vergogna e dedicarsi alla gioia per un derby vinto dopo millanta anni? Capiamo perfettamente quanto possa essere sconvolto un torinista doc quale Massimo Gramellini. Al punto che dopo un assalto a un autobus e una bomba carta lanciata nel settore avversario, si sofferma sulla gioia per una partita vinta, anche se è la partita. Tu chiamala se vuoi, rimozione. Poi, per carità, all’interno il quotidiano dedica ampio spazio alla violenza di domenica. Ma immaginate solo per un attimo cosa sarebbe successo se dopo una bomba carta lanciata dai tifosi del Napoli, una firma illustre avesse osato celebrare la vittoria azzurra in prima pagina come se nulla fosse.

Chissà perché, dopo i fattacci di Torino (aggressione al bus della Juventus e bomba carta lanciata dagli juventini come regalo ai padroni di casa) non è emersa alcuna analisi socio-antropologica sull’ex vertice del triangolo industriale. Niente. Nemmeno un rigo. Addirittura ieri, in prima pagina sul Corriere della Sera, c’era scritto di una bomba carta lanciata da “uno juventino”. Uno. Che poi è vero, per carità. In un altro caso, avrebbero scritto “un napoletano” oppure “dai napoletani”? Sono dettagli linguistici che celano un mondo. Per carità, il teppismo non ha patria e siamo perfettamente d’accordo. Colpisce, però, la macroscopica disparità di trattamento mediatica.

E allora ci proviamo noi a cercare di capire che cosa sta succedendo a Torino. Dov’è finita? Centomila persone che vivono in una condizione di povertà e disagio sociale. Più del 12% della popolazione. Il rapporto del Sole 24 Ore sulla qualità della vita la indica come ultima nel Piemonte e scesa dal 43esimo al 57esimo posto. «Prima città d’Italia battendo anche le città meridionali per i piccoli furti», dice in un’intervista Ezio Locatelli, ex deputato di Rifondazione. Badate al termine di paragone. 

Una Torino che cerca di rimuovere la figura del signor Vincenzo, padre di due figli, delegato al franchising per conto di una catena di negozi di alimentari, che va col bambino ad aggredire l’autobus della Juventus. Oggi è intervistato da La Stampa. «Non ho fatto nulla di male, non sono un delinquente, se guardate bene il video si vede che io batto soltanto sulla carrozzeria. Colpi a mano aperta. Non pugni. In mano non ho nulla. Allo stadio queste cose ci stanno. Il calcio è fatto così». Non proprio in realtà, ma evidentemente lui non lo sa. Va in tribuna il signor Vincenzo, emblema di una Torina stordita dalla crisi che sembra non abbandonarla più. Un tempo, nel 1980, il ceto medio figlio di questa città mise in ginocchio il Pci e il sindacato con la marcia dei quarantamila, oggi assalta l’autobus della squadra avversario mano nella mano col figlioletto.  

Non manca nemmeno il volto che lombrosianamente buca il video. Ne sappiamo qualcosa noi con Genny la carogna. A Torino hanno Luciano il camerata, juventino, immortalato su Facebook con tanto di mazza da baseball. Va da sé che la sua foto non farà il giro d’Italia. Per non parlare di Luca, artigiano, ultrà della Juventus, professionista dei Daspo: il primo arresto è datato 1994, quando aveva 23 anni. Una chicca il suo debutto nel codice penale: insieme ad altri quattordici buontemponi, attirarono sei poliziotti in un pub di Torino, poi abbassarono la saracinesca e, scrive La Stampa “li picchiarono selvaggiamente”. Il buon Luca di Daspo ne ha già avuti due. Ma lui sa come si fa: ricorre al Tar e ottiene l’annullamento del provvedimento per carenza di motivazione. Mica è colpa sua, del resto. La difesa è un diritto sacrosanto, ci mancherebbe. Stavolta è accusato di aver lanciato oggetti pericolosi, un fumogeno, contro un tifoso granata. L’osservatorio offre anche dell’altro. Non mancano steward compiacenti. Nemmeno a Torino. 

Ma nessuno si attarda in analisi che vadano più in profondità, alla ricerca di un senso di smarrimento per una nobiltà ormai perduta. Eppure gli elementi non mancano. Un anno fa Pierre Carniti ammonì che la nascita di FCA avrebbe potuto determinare effetti molto negativi su Torino, fino a prevedere un declino potenzialmente simile a quello vissuto da Genova con la chiusura dell’Ansaldo. «Dei 4 milioni e mezzo di auto che la Fiat produce, solo 400 mila si fanno in Italia. Il 10 per cento. Quindi l’Italia vale soltanto il 10%. Siamo la periferia», disse l’ex storico sindacalista della Cisl a Repubblica. 

Il sito www.iltorinese.it scrive: «Con la bellezza di dieci milioni di ore richieste nei primi due mesi dell’anno, Torino è la prima città italiana nella classifica della cassa integrazione. Mentre a livello nazionale i dati relativi ammortizzatori sociali sono in calo del 41%, in Piemonte sono scesi soltanto del 10». Un interessante approfondimento sul parallelo Detroit-Torino lo trovate qui: un ritratto impietoso – datato 2013 – in cui emerge anche la volontà di non guardare in faccia la realtà. Un po’ come chi, dopo domenica, vuole gioire per il derby vinto. Oppure preferisce addossare la responsabilità a un articolo sarcastico scritto da Giampaolo Ormezzano. Che ne pensa, commissario Santamaria?
Massimiliano Gallo

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