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Il grande intruglio tra società di calcio e tv. Tu chiamala, se vuoi, informazione

Il grande intruglio tra società di calcio e tv. Tu chiamala, se vuoi, informazione

“Un brusio sterile con finalità di autocompiacimento. Un teatrone che trascina stancamente i suoi riti e i suoi commedianti”. Scriveva così ieri sul Napolista Alfonso Noel Angrisani nel suo bell’articolo dedicato allo stato dell’opinionismo sportivo, confrontando il silenzio di Benitez nel salotto di Massimo Mauro a quelli di Mourinho in Spagna e Inghilterra. “Quasi ogni settimana – scrive Angrisani – si discute per giorni di un rigore non assegnato, un fuorigioco inesistente o di un cartellino mancato”. Tutto terribilmente vero. Ma questo è il blocco di ghiaccio che vediamo, sotto l’acqua c’è il resto dell’iceberg. La parte più grossa e più interessante.

Il calcio italiano è al centro di una lotta di potere, una battaglia a tutto campo per il controllo del sistema che coinvolge ogni sua componente. In questa battaglia, l’informazione viene da un lato colpita e dall’altro ingaggiata. Se è vero che da tempo in Italia non esistono editori puri, altrettanto vero è che non esistono giudizi completamente puri. Secondo il dossier di “Reporter senza frontiere”, l’Italia occupa il settantatreesimo posto mondiale nella classifica della libertà di stampa, ventiquattro posti in meno rispetto allo scorso anno. Un crollo spiegato con intimidazioni che non arrivano solo dalla malavita, ma da forme di censura esercitate dal mondo della politica. Si tratta dunque qui di considerare l’ipotesi che la sudditanza psicologica storicamente attribuita dai media agli arbitri sul campo, sia vissuta adesso dagli stessi rappresentanti dei media in campo calcistico, anzi sarebbe meglio di dire in questo coacervo di interessi che esiste tra media e club di calcio. 

Mai come in questo ultimo anno, il calcio italiano si trova dinanzi a uno scenario  allarmante, o magari si dovrebbe dire che si trova dentro lo scenario. Basta mettere in fila qualche dato oggettivo, nudo e crudo, per rimanere perplessi. Come sempre, bisogna seguire i soldi per capire. Il gran circo dello squattrinato calcio italiano si regge in prevalenza sui soldi dei diritti tv (987 milioni di euro), che garantiscono alle società di serie A poco più del 65% complessivo del loro fatturato. Se oggi per un motivo qualunque quei soldi venissero meno, la serie A, indebitata per più di 200 milioni, farebbe il botto. Ci troveremmo al cospetto di un crac collettivo. La seconda fonte di introito è il marketing, che porta in dote alla serie A 150 milioni. In totale siamo a poco più di un miliardo e 100 milioni di euro. 

Il libretto degli assegni è tra le mani della società Infront, multinazionale che gestisce i diritti commerciali e i diritti tv degli eventi sportivi. Il suo lavoro consiste inoltre nel fornire servizi e sponsorizzazioni. Ebbene, Infront gestisce l’area marketing e pubblicità di otto club di serie A (le due milanesi, le due genovesi, la Lazio di Lotito, il Palermo, il Cagliari e l’Udinese). E’ inoltre advisor della Lega, per conto della quale ha gestito l’assegnazione dei diritti tv delle prossime stagioni (ci torniamo tra poco) e nello scorso mese di ottobre ha vinto il bando per l’analogo ruolo in Figc. Uno strapotere economico con pericolosi risvolti per il sistema italiano dell’informazione, che, sarà bene ricordarlo, è cosa profondamente diversa dalla comunicazione. Partner di Infront in Figc è il gruppo Sole 24 ore, il cui 67% delle quote è di proprietà di Confindustria, alla cui presidenza è dal 2012 Giorgio Squinzi, presidente del Sassuolo. Alla guida di Infront Italy c’è Marco Bogarelli, che vanta un passato nel gruppo Fininvest (proprietario del Milan) e amico di lunga data di Adriano Galliani. Il Fatto quotidiano e la Repubblica si sono occupati a fondo della rete di relazioni di Infront. Non ci torneremo, se non per dire che Infront Italy è finito da poche settimane nel pacchetto delle proprietà del gruppo cinese Wanda, che ora dà la scalata direttamente alle azioni dei club di calcio. Ha preso il 20% dell’Atletico Madrid, si dice pronto a investire nel nuovo stadio del Milan (con quote societarie) e ha contatti con l’Inter. 

L’intreccio pazzesco non è finito. Infront, in quanto advisor di Lega, ha svolto opera di mediazione fra Sky e Mediaset nel braccio di ferro sui diritti dei campionati, chiudendo la sua azione con un azzeramento di fatto del principio della libera concorrenza e con la firma di un compromesso per congelare lo status quo. Tra le due piattaforme invece non esiste accordo sui diritti delle prossime Coppe europee, per cui Mediaset resta titolare dei diritti della Champions, strapagata, ma cerca soci con cui affrontare la spesa. Sky, dal canto suo, perdendo la Champions andrà incontro a una emorragia di abbonati che secondo alcuni calcoli ufficiosi diffusi dai mezzi di informazione nelle scorse settimane si potrebbe aggirare intorno alle 500.000 unità. Ricapitolando. Il calcio ha bisogno dei soldi delle tv, ma le tv senza calcio a loro volta se la passerebbero molto male.

Non è difficile immaginare come il sistema, allora, si compatti quando occorre, intorno a quei poteri che possono garantire la sua sopravvivenza. La scorsa estate, dopo il Mondiale fallimentare in Brasile, nel chiedere le dimissioni di Abete, insieme a tanti altri soggetti, Sky ha mosso un passo irrituale e sorprendente, superando la logica americana dell’endorsement. Schierata apertamente contro Tavecchio, la tv di Murdoch considerava auspicabile l’elezione alla presidenza federale di ex calciatori che oggi tiene sotto contratto come opinionisti. Di fatto, Sky ha dismesso i panni dell’osservatore per vestire quelli del giocatore. Anziché commentare la partita in corso, Sky ha provato a giocarla. Così come Mediaset, legata a Infront, la giocava politicamente su un altro tavolo, sostenendo la corsa di Tavecchio con il gruppo di consenso che gravita intorno all’asse Lotito-Galliani. 

La partita l’ha persa Sky (al momento), ma in realtà ancora la gioca, incrociando i propri obiettivi politici con quelli di altri club. Quali? La Juventus, la Roma e la Fiorentina. Va ricordato che nell’ottobre del 2013 il portale Blogo.it riferì per primo della presenza di John Elkann nel cda di NewsCorp, che controlla la 21st Century Fox, a sua volta titolare del 40% di Sky Europe. Nella formula “conflitto d’interesse”, dinanzi a uno scenario di questo tipo, stona la parola “conflitto”. Come si sa poi, la Fiat è proprietaria del 20% di Rcs Media Group, editore di Corriere della sera e Gazzetta dello sport, con soci Diego Della Valle (di nuovo la Fiorentina) e per un 3% l’editore Urbano Cairo (il Torino). Come si sa (ancora) l’editrice La Stampa di John Elkann possiede il quotidiano La Stampa di Torino e attraverso una fusione ratificata nel gennaio scorso con Sep controlla anche il genovese Secolo XIX. Bisogna inoltre aggiungere che molti quotidiani stringono accordi di partnership commerciale con i club di calcio, facendoci affari insieme. La Gazzetta per esempio ne ha firmato a inizio stagione uno con la Roma. Ma gli intrecci proseguono. Per il lancio recente della tv sul digitale terrestre, la stessa Gazzetta ha firmato un accordo per la fornitura di servizi tecnici, produttivi, di post-produzione e di emissione con Infront, suo (ex) concorrente nell’asta in Figc.

In questo gigantesco risiko che sta alle spalle dei gol, dei rigori e dei fuorigioco su cui ogni maledetta domenica ci appassioniamo tanto, devono però vivere l’obiettività e l’imparzialità di servizi giornalistici, di telecronache, di replay, di immagini che valgono come prova tv per la giustizia sportiva, di interviste (che sono il frutto di una scelta di domande). Siamo sicuri che riescano a resistere? Viene davvero garantita una equidistanza? Venendo a noi, in questo gigantesco risiko come si vede bene il Napoli è un elemento di marginalità. Lo è dal punto politico, lo è dal punto finanziario, lo sta diventando sul versante mediatico. Negli anni ’80 il Napoli poté resistere (per qualche anno) all’attacco del Milan di Sacchi (e della Fininvest di Berlusconi) trovando sostegno politico-finanziario negli uomini che occupavano ruoli di primo piano nelle istituzioni della Prima Repubblica, ottimi garanti agli occhi delle banche, e sostegno mediatico nella Rai del potentissimo Biagio Agnes. Ma ogni settimana, come ci ricordava Angrisani, noi siamo qui a discutere di un rigore non assegnato, un fuorigioco inesistente o di un cartellino mancato.
Mario Caruso

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