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Non fumo, ma se dovessi fumare una sigaretta lo farei con Zeman

Non fumo, ma se dovessi fumare una sigaretta lo farei con Zeman

Ogni volta che torna Zeman è come se tornassero tutte le primavere, tutte insieme, una sull’altra. Zeman torna e sul campo torna a fiorire qualcosa. Quella che chi prova a campare chiama speranza, quella che chi segue il calcio vorrebbe nominare magia.

Ogni volta che un Presidente chiama o richiama Zeman ho una specie di sussulto, mi sento come quando in un bar sconosciuto mi azzeccano il caffè, chi non vive a Napoli apprezzerà la rarità del fenomeno. Zeman ritorna e io, prima per dieci minuti, poi per qualche giorno, compio un viaggio che è un misto tra ricordo e immaginazione. Ogni volta che torna Zeman apro i cassetti, faccio le valigie. Zeman torna e io, all’istante, vengo catapultato in una specie di tombola che ha dentro nomi al posto dei numeri. Nomi prima di sconosciuti, poi di fenomeni. Zeman e il Licata. Zeman a Foggia. Zeman a Messina. Zeman, di nuovo, indimenticabilmente a Foggia. Zeman a Roma, prima la Lazio, poi la Roma. Zeman in Turchia. Zeman a Napoli, troppo poco tempo. Zeman e l’Avellino. Il Lecce, il Brescia. La Stella Rossa. Ancora Foggia. Il miracolo Pescara. Le ultime domeniche di spettacolo alla Roma. E il Cagliari mesi fa e ora.

Senza pensare ai fenomeni veri, da lui scoperti, quanti sono quegli sconosciuti che sotto Zeman hanno giocato da campioni e poi si sono perduti? Quanti ragazzi della primavera hanno imparato a giocare a pallone, dimenticando – ogni tanto – di curarsi i capelli col gel?

Torna Zeman e mi ricordo certe partite del Foggia, anche al San Paolo, dove quei rossoneri arrivavano da tutte le parti. Scatti, sovrapposizioni, triangoli. Una velocità impressionante. Una visione che dall’alto dello stadio somigliava alla perfezione. Zeman ritorna e a me viene in mente quella cosa semplice semplice, che il calcio è un divertimento, che è uno spettacolo, mi ricordo che quando si paga un biglietto ci si aspetta di vedere qualcosa di bello. Certo, il tifoso mette in conto la sofferenza (e chi meglio di noi lo sa), ma il peso della sofferenza è più sopportabile se alleggerito da un po’ di grazia.

Il 4-3-3 e la sigaretta, cose che un uomo come Zeman non può cambiare, cose che non devono cambiare. Zeman è una pagina di letteratura già scritta, una pagina che nessuno può editare. Zeman è la testardaggine e la pazienza. Zeman è l’amore per il calcio. Zeman non ride mai e mai smette di pensare al divertimento. Zeman che magari, da qui a giugno, mi trova un grande terzino. Zeman che non è vero che non sa difendere, è vero che non conosce un altro modo di attaccare, e quel modo è la sua difesa, ma non sempre funziona. Lui non tradisce mai se stesso, qualche volta qualcuno tradisce lui.

Io non conosco Zeman, non ho ricordi di chiacchierate con lui, e poi cosa ci saremmo detti? Io parlo poco, lui non dice una parola. Se dovessi fumare una sigaretta, io che non ho mai fumato, la fumerei con Zeman. Zeman che ha vinto così poco in trofei, ma ha vinto parecchio sotto un altro profilo. Zeman l’ho visto allegro e triste, l’ho visto deluso, ma non l’ho mai visto uscire dal campo a testa bassa. Zeman si è sempre battuto, non ha mai pensato a un terzino che non dovesse sovrapporsi sulla fascia, a una partita in cui non si tirasse in porta. Zeman torna e io mi ricordo che lo zero a zero è un risultato che non dovrebbe esistere. È un pareggio ma non è un punteggio, somiglia a qualcosa di non accaduto. Lo zero a zero è una magia che non si compie, è un mancato avvento.

Ogni volta che torna Zeman io mi ricordo i miei sogni da bambino, mi ricordo le ore passate a calciare una palla di spugna in cameretta. La scrivania era la porta. Le ore passate a tentare di mettere fantomatiche punizioni all’incrocio dei pali, tra il cassettone e lo spigolo di legno. Zeman ritorna, si accende una sigaretta a bordo campo, e io mi ricordo di quando giocavamo a calcetto, da ragazzini, che ci saremmo fatti uccidere per un fallo laterale, di quando ci applaudivamo quando – raramente – ci riuscivano gol da fenomeni. Mi ricordo di quando con i miei cugini, in un cortile che ora non c’è più, ci allenavamo a crossare e a staccare di testa, alzando il livello di difficoltà. Bisognava crossare arrivando il più vicini possibile al bordo di un marciapiede, così che il piede avesse minor possibilità di torsione. E bisognava farlo in corsa.

Ogni volta che Zeman torna io mi ricordo che il calcio non è altro che la trasposizione del nostro sogno più lontano. Qualcosa come un sorriso, come una diversa e mai compiuta forma di bellezza.
Gianni Montieri

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