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Che il Parma fallisca, senza buonismi. Già ai tempi del crack Parmalat venne ingiustamente salvato

Che il Parma fallisca, senza buonismi. Già ai tempi del crack Parmalat venne ingiustamente salvato

C’era una volta il Parma Foot Ball Club che nacque nel 1913 e disputò diversi campionati regionali a cavallo della Prima Guerra Mondiale, fino alla promozione in Serie B nel 1929 quando poi cambiò nome in Parma Associazione Sportiva. Seguirono 38 anni di attività tra la Serie C, la Serie B e infine la Serie D, quando nel 1968 la società venne messa in liquidazione e cambiò nome in Parma Football Club, resistendo un solo anno prima di ritirarsi dal campionato e fallire nel 1969.

Ma non era ancora finito il calcio a Parma, toccò all’Associazione Calcio Parmense difendere i colori della città in Serie D e raggiungere la promozione in Serie C nella primavera del 1970. Ancora un cambio di nome per tornare al precedente Associazione Calcio Parma e disputare molte stagioni di Serie C e C1 facendo di tanto in tanto qualche puntata in Serie B (1979-80 e 1983-84, subito retrocesso). Sono anni costosi per il club, tanto che il proprietario Ceresini (dal 1976) all’epoca disse d’aver investito oltre un miliardo di lire per la squadra fino al 1984 pur riuscendo la società anche a lanciare e vendere in Serie A numerosi giocatori.

È l’estate del 1985 quando ad assumere la guida tecnica della squadra giunse un giovane allenatore con modeste esperienze alle spalle in Serie D, C1 e settori giovanili: Arrigo Sacchi. Agli ordini del giovane tecnico la squadra stravinse la Serie C1 conquistando la promozione, quel campionato si chiuse però con un passivo di due miliardi e mezzo di lire [fonte il libro Tutto il Parma minuto per minuto]. La stagione successiva incredibilmente il Parma, sempre guidato da Sacchi, sfiorò la Serie A giungendo al settimo posto tra i cadetti.

L’estate del 1987 (senza più Sacchi, passato al Milan di Berlusconi) segnò una svolta che però non portò immediati frutti: ci fu l’addio dello sponsor storico del Consorzio del Prosciutto di Parma e il via libera al nuovo sponsor Parmalat che entrò in società rilevando una quota di minoranza. Sono anni travagliati dal punto di vista tecnico, con l’alternanza di diversi allenatori (tra cui anche Zeman) e la permanenza in Serie B, fino a quando nel 1989-90 il Parma, classificandosi 4°, riuscì finalmente a conquistare la promozione in Serie A.

Insomma, dal 1913 al 1990 il Parma ha militato più stagioni in Serie C che in Serie B e mai in A. Da un periodo di tempo di oltre 67 anni si potrebbe quindi dedurre che la dimensione sportiva del club sia quella delle categorie minori, e non si sarebbe nel torto, ma a mutare il corso degli eventi è stato l’ingresso della Parmalat nel calcio.

All’atto della promozione in A il Parma diviene proprietà della multinazionale alimentare e grazie alle munifiche sponsorizzazioni e alle cospicue iniezioni di capitale della Parmalat, la piccola società diventa capace di un exploit continuato per oltre un decennio. In Serie A ottiene piazzamenti di rilievo, infatti è 2° (nel 1996-97), 3° (nel 1992/93, 1994/95), 4° (nel 1998/99, 2000/01), 5° (nel 1990/91, 1993/94, 1999/2000, 2002/03, 2003/04), 6° (nel 1991/92, 1995/96, 1997/98) e infine 10° (nella stagione 2001/02). Nello stesso arco di tempo vince la Coppa Italia 3 volte (1991/92, 1998/99, 2001/02) e la Supercoppa Italiana nel 1999/2000, la Coppa delle Coppe nel 1992/93, ben 2 volte la Coppa Uefa (1994/95 e 1998/99) e la Supercoppa Europea nel 1993/94.

Fino al crack Parmalat. Siamo all’alba del 2004 e lo scandalo finanziario colpisce direttamente i risparmi di migliaia di famiglie italiane. Per questa ragione forse passa in cavalleria un’evidenza, ovvero che il Parma Calcio è stato tra i massimi beneficiari della frode finanziaria del gruppo di cui faceva parte. L’Associazione Calcio Parma ha goduto di vantaggi economici che la ponevano in posizione di enorme vantaggio rispetto alla sua reale redditività aziendale, di fatto dopando una piccola realtà sportiva fino a farla competere con le maggiori squadre italiane. Intendiamoci, anche Moratti ha speso montagne di denaro, ugualmente Berlusconi o Sensi, ma nessuno di loro ha investito i soldi frutto di una frode che ha portato al maggiore scandalo economico-finanziario della storia d’Italia.

La società sportiva era dunque fallita nel 2004, con il suo pesante fardello di debiti fu dichiarata insolvente e normalmente quando ciò accade finisce lì e si riparte dai dilettanti. Invece venne varata una legge ad hoc per il caso Parmalat, la cosiddetta Legge Marzano che trovò la prima applicazione proprio nel caso sportivo laddove venne creata una nuova società (Parma FC) che rilevò il titolo sportivo e i rapporti economici del vecchio Parma AC che rimase invece in seno al fallito gruppo Parmalat.

Dal 2007 il club è stato rilevato da Tommaso Ghirardi, e l’analisi finanziaria evidenzia che “dal 2008 al 2014, limitando l’analisi alla gestione caratteristica e senza tenere conto del calciomercato (quindi di quanto speso per l’acquisto di nuovi giocatori e quanto incassato con le cessioni), nelle casse del Gruppo Parma sono entrati circa 281,37 milioni, cui hanno fatto fronte uscite per circa 388,59 milioni, con un saldo negativo nei sette anni di circa 107,22 milioni.” [fonte CalcioeFinanza.it]

Si tratta quindi di un classico esempio di cattiva gestione aziendale: non è stata una sventura, le cavallette o un’inondazione a determinare tale pessima gestione finanziaria, sono state le scelte degli amministratori. La Procura di Parma, dopo l’istanza di fallimento depositata nei giorni scorsi, ha aperto nelle ultime ore anche un fascicolo d’indagine per bancarotta fraudolenta, non resta quindi che aspettare che i magistrati facciano il loro lavoro.

Siamo giunti dunque al bivio di una vicenda che presenta non pochi lati oscuri: o Manenti immette diversi milioni di euro nella società per assicurare la continuità aziendale oppure il fallimento sarà inevitabile. Qualora si volesse giungere ad un fallimento “pilotato”, come per il Bari nella scorsa stagione, sarebbe ugualmente necessario disporre della liquidità per far fronte al funzionamento corrente della società fino al termine del campionato. Difficile.

Non c’è bisogno di ricordare quanto il pensiero vada ai dipendenti del Parma FC – ancor prima che ai calciatori – tuttavia non si può fare a meno di ricordare come non ci sia stata tutta questa solidarietà per la Fiorentina nel 2002 o per il Napoli nel 2004, quando le due società, storicamente più importanti del Parma, dovettero chiudere bottega e ricominciare dalla Serie C ripartendo da zero pur con debiti inferiori a quelli del Parma di oggi. Senza dimenticare la Lazio di Lotito salvata negli stessi anni con una mega rateizzazione dell’enorme debito fiscale. È bene scriverlo a chiare lettere: se una società ha debiti ed è insolvente è giusto che fallisca, e vale per tutte le società.

La vicenda del club ducale invece sembra ormai una pantomima, siamo quasi all’accanimento terapeutico, domenica non verrà disputata la seconda partita consecutiva. La Figc sta cercando di mascherare la cruda realtà disponendone il rinvio ma si tratta, di fatto, della seconda rinuncia; saremmo dunque in teoria già sulla soglia dell’esclusione dalla Serie A.

Le settimane intanto passano e la fine del campionato si avvicina, le possibilità di rivedere il Parma in campo sono ormai minime, tuttavia il fallimento sarebbe senz’altro la soluzione migliore per il club che, ormai retrocesso in B e appesantito dall’ingente debito, rischierebbe solo di rimandare l’inevitabile. Un fallimento invece consentirebbe una ripartenza dalle categorie minori ma in fondo è da lì che è iniziata questa storia più di cent’anni fa.
Andrea Iovene
(In copertina, Melli e Osio che festeggiano la Coppa Italia del 92; poi la rosa della stagione 1985-86 con allenatore Arrigo Sacchi; la Coppa Uefa vinta nel 2000 con Buffon e Cannavaro; Calisto Tanzi che rivela la società da Ceresini) 

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