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Vincenzo Spagnolo, vent’anni dopo. Repubblica intervista il papà: «Non è cambiato niente, ho sentito la famiglia di Ciro Esposito»

Vincenzo Spagnolo, vent’anni dopo. Repubblica intervista il papà: «Non è cambiato niente, ho sentito la famiglia di Ciro Esposito»

Domani saranno vent’anni. Vent’anni dalla morte di Vincenzo Spagnolo, ucciso a 25 anni da una coltellata prima di Genoa-Milan. Quel giorno il calcio si fermò, come ricorda oggi Repubblica: “Il governo garantì un giro di vite contro la violenza, disegni di legge per riportare le famiglie negli stadi. I capi di tutti gli ultrà giurarono: basta lame, basta infami”. Come sappiamo, non è andata così. 

Il quotidiano oggi intervista il papà di Vincenzo, Cosimo. Un’intervista struggente. «Nella mia testa continuo a vederlo tutti i giorni, gli parlo, gli chiedo: doveva essere un giorno di festa, come è stato possibile?». Il suo assassino, Simone Barbaglia, all’epoca aveva 18 anni. Fu condannato a 14 anni e sei mesi. «All’inizio provavo un tale dolore per la perdita di mio figlio, che al suo assassino non ho mai pensato. Non ho sentito niente dentro, nemmeno al processo. Ma quando ho saputo che ha fatto così poca galera (meno della metà, ndr), mi è venuta una gran rabbia. Se me lo trovassi oggi di fronte, non riuscirei a trattenermi. Potrei anche dargli uno schiaffo». 

Repubblica racconta che Cosimo ha parlato con i genitori di Ciro. «“Al telefono. Difficile, commovente. Brutto”. Dice che la colpa è sempre degli stessi. “Piccoli gruppi di delinquenti che non gli importa niente della squadra e dei colori. Vogliono fare i loro sporchi affari”. Soprattutto bagarinaggio e “sponso- rizzazioni” più o meno esplicite dei club. Oggi anche il traffico di droga nelle curve. “Magari non cercano deliberatamente il morto. Ma la confusione, la violenza. Qualche ferito, perché no? Per mettere pressione alle società, che così scelgono di lasciarli fare”. Non è cambiato nulla, no. “Nessuno insegna la cultura dello sport fin dalla scuola. I club non investono nella sicurezza: meglio incassare e basta. La partita, che dovrebbe essere una gioia per le famiglie, rischia ogni volta di trasformarsi in un inferno”».

«Quella mattina io e mia moglie siamo andati dai miei genitori in campagna, prima di uscire ho socchiuso la porta della camera: Claudio dormiva. Era tutto così tranquillo. “Col Milan ci divertiremo, è un grande Genoa”, mi aveva detto la sera. Sembra ieri».

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