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Il restyling del San Paolo è quel che Napoli e il Napoli oggi possono consentirsi (anche se qualcosa si muove)

Il restyling del San Paolo è quel che Napoli e il Napoli oggi possono consentirsi (anche se qualcosa si muove)

L’accordo che sembra essere stato raggiunto tra il Napoli e il Comune ha il sapore del compromesso. Termine che può avere un’accezione tanto positiva quanto negativa. È un compromesso al ribasso per chi guarda cosa accade nel resto d‘Europa, dove avere gli stadi di proprietà è quasi una condicio sine qua non per poter produrre in un futuro più o meno prossimo un fatturato ragionevolmente all’altezza. Allo stesso tempo, alzi la mano chi ha mai ipotizzato che Aurelio De Laurentiis davvero realizzasse lo stadio del Napoli fuori città, addirittura in un’altra provincia. Come al solito accade, quella relativa allo stadio è sempre stata una falsa querelle. Per di più in una città che non è certo avvezza ad aprire (e chiudere) cantieri ogni anno, come accade invece nel resto d’Europa. Da noi – come nel resto d’Italia – quelli che sono aperti lo sono da un bel po’ e ancora non sappiamo quando lasceranno il posto alle opere ultimate (vedi metrò di piazza Municipio). Abbiamo ospitato una delle opere infrastrutturali più importanti del Paese, il completamento della linea metropolitana è stata un’opera eccezionale ma anche isolata. E, soprattutto, finanziata con soldi pubblici. Alcuni progetti si stanno realizzando, vedi zoo ed Edenlandia, ma siamo lontani, per ora, dall’idea di una città che sta cambiando volto. 

Non è mai esistita una reale alternativa alla ristrutturazione del San Paolo. Non è mai esistita perché non viviamo un fermento urbanistico. Bagnoli, tanto per ripetere sempre lo stesso esempio, più che un cantiere aperto è un deserto senza nemmeno cattedrale. Non abbiamo visto in questi vent’anni Napoli cambiare sotto i nostri occhi. È una città che si muove nell’ottica della conservazione. E la longa manus della criminalità organizzata, ovviamente, non ha un ruolo secondario. 

È in questo contesto che va giudicato l’accordo tra Aurelio De Laurentiis e Luigi de Magistris. Accordo inevitabile. Stipulato in ossequio al principio del minor danno possibile. Il Napoli non si sarebbe mai potuto consentire la costruzione di uno stadio ex novo e peraltro bisognava individuare dove realizzarlo, impresa non agevole. Non ne avrebbe avuto la forza economica. Non solo. A giudicare dagli incassi di quest’anno, probabilmente per il Napoli non ci sarebbe stata nemmeno convenienza. Se non attrae una squadra allenata da Benitez e guidata da Higuain, con ogni probabilità un tandem che ci sogneremo a lungo in avvenire, che cos’accadrà quando la squadra rientrerà nei suoi standard storici? E poi De Laurentiis non ha la forza economica per poter avviare un progetto importante come quello che Pallotta sta portando avanti con la Roma e con Roma.

Falsa querelle, falso dibattito quindi. Era già tutto previsto. Anche la permanenza della pista di atletica leggera. Non sarà un impianto europeo. Sarà un impianto all’italiana. Il Comune continuerà a utilizzarlo. È un’operazione al risparmio, l’unica possibile in una città, ma anche in un paese, dove l’economia è ferma e le grandi opere finiscono con l’essere affascinanti progetti destinatia rimanere tali solo su carta. 

È un fallimento? Molto più realisticamente è una presa di coscienza. Più di questo, Napoli non può produrre. In tutti i sensi. Napoli non può avere un presidente migliore di De Laurentiis e non può avere uno stadio più affascinante del San Paolo. Paradossalmente, De Laurentiis ci ha abituati male. Ci ha proiettati in una realtà calcistica che non è alla nostra portata. Non abbiamo la forma mentis per farne parte. Noi deridiamo il presidente che conduce il Napoli tra i primi venti club più ricchi d’Europa, mica ci inorgogliamo. E dico noi come città, ma soprattutto come forze produttive e politica. Il Napoli – ma il discorso potrebbe estendersi ad altro – è altro da noi tranne quando gioca, a essere cattivi dovremmo dire tranne quando vince. Non c’è una tensione imprenditoriale né un fervore urbanistico.

Ma, ripetiamo, è un discorso che non vale solo per Napoli. Anzi, la nostra città sta vivendo un periodo turistico particolarmente favorevole. Secondo Trademark Italia, Napoli è la città italiana con il maggior incremento percentuale delle presenze alberghiere nel 2014. Un trend che si sta consolidando ma che ancora non riesce a tramutarsi in un cambio di immagine. È il cambio di immagine che consente l’attrazione di capitali, visto che quelli indigeni sono particolarmente pigri. E pur senza immondizia, Napoli riesce raramente a tradursi in notizia positiva, soprattutto in Italia (va invece decisamente meglio all’estero). Gomorra, la terra dei fuochi, Pompei, Circumevsuviana, giusto per fare qualche superficiale esempio. Ma è un tema enorme. Anzi, è il tema. È di questo che Napoli dovrebbe discutere. È su questo che Napoli dovrebbe fare sistema. Ma non per una sterile e autoghettizzante difesa della napoletanità. Bensì nell’ottica di programmare il futuro e cogliere un’opportunità enorme di sviluppo e lavoro per l’intera area metropolitana. È qui che si gioca la partita decisiva per il futuro dellacittà.
       
Per ora il compromesso sul San Paolo è il primo passo che dovrebbe indurci a tornare calcisticamente sulla terra. Questo Napoli è fuori contesto. Occorrerebbe prenderne coscienza ma francamente, guardandosi un po’ in giro, sembra un’impresa ardua. Continuiamo a ripeterci che siamo il luogo più bello del mondo (che poi, paesaggisticamente e culturalmente, è anche realistico) e guai a chi non si adegua al coro. Lo stadio di proprietà è un lusso che il Napoli, questo Napoli non può consentirsi. Come, con ogni probabilità, lo sono Benitez e Higuain. E se Rafa dovesse andar via, pur senza andare a Liverpool, non avrebbe certo tradito. Ci può stare, e Aurelio lo sa. 
Massimiliano Gallo

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