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Dialogo tra il ciuccio e il grifone: «Ci uniscono il mare, la musica, Speggiorin e Frank Sinatra»

Dialogo tra il ciuccio e il grifone: «Ci uniscono il mare, la musica, Speggiorin e Frank Sinatra»

“Ci vediamo al castello”, mi dice il Grifone, come se Napoli di castello ne avesse soltanto uno. Lui si riferisce al più celebre fuori città, Castel dell’Ovo, nonostante il mio preferito sia un altro. Lo accontento. Siamo o non siamo gemellati? E’ di questa fratellanza recente che parleremo, io e il simbolo del Genoa, a poche ore dalla partita. Partiamo da qui per il nostro dialogo sul calcio. 

Grifone: “Siamo rimasti noi e pochi altri, in Italia, mi viene in mente Catania, a mostrare simpatia per il tifo di Napoli. Mi limito al tifo perché non sono così presuntuoso da dire simpatia per i napoletani, intesi come popolo. Il gemellaggio è un istituto che il nostro calcio ormai ha perso, sopravvive purtroppo in pochissimi casi. Una trentina di anni fa, se la memoria non mi inganna, ce ne erano molti di più”. 

Ciuccio: “Vero, ce ne erano di più. Ma spero di non urtare la tua suscettibilità e di non mettere in crisi la nostra amicizia, se ti dico che a me i gemellaggi non piacciono. Non mi piace l’idea del gemellaggio, che ha come un sapore di eccezione, di singolarità. Certo non sono così ingenuo da sognare un campionato di calcio in cui tutti si vogliono bene, ma l’idea del gemellaggio quasi regolamenta il principio secondo cui in assenza di esso debba esserci ostilità. Io baratterei il nostro gemellaggio e tutti gli altri ancora esistenti in cambio del rispetto reciproco e diffuso negli stadi”. 

Grifone: “Capisco il principio di base, ma dovremmo poi metterci d’accordo su cosa significhi rispetto. Lo sfottò è per definizione una mancanza di rispetto, ma giocosa, goliardica, e cancellarla dagli stadi toglierebbe comunque sapore al gioco del calcio. Il gemellaggio non mi sembra una cosa tanto grave, è soltanto un sentimento di simpatia, nel senso greco del termine. Provo quello che stai provando tu”. 

Ciuccio: “Non lo so, ma questa visione non mi convince. Se tu stasera vinci al San Paolo, con tutta la simpatia che sento per te, io non proverò nessuna gioia. Gli sfottò, per come la vedo io, sono già spariti dagli stadi. Ci sono insulti che sono camuffati da sfottò. Insulti che hanno prodotto un avvelenamento del clima, ma queste sono cose che ci siamo detti e ridetti mille volte. Ricorderai bene che negli anni ’70 gli stessi genoani erano tra i più feroci nei confronti di noi napoletani. Ne ho scritto una volta per il Napolista: il coro “colera colera” che accompagnava il Napoli in trasferta è nato proprio da voi. In più mi dà fastidio l’idea che questo nostro gemellaggio sia costruito su un evento grigio. Avevo passato i cinquanta anni all’epoca, ricordo bene l’origine di tutto. Napoletani e genoani sono diventati amici l’anno in cui vi salvaste al San Paolo con un pareggio nato dopo una papera di Castellini, inseguito da quel giorno da un sospetto di cui ogni tanto nelle interviste ha dovuto rendere conto. Andò in serie B il Milan tra gli applausi del San Paolo. Ecco, essere uniti da una radice di sospetta slealtà credo che tolga purezza a questo bel sentimento che comunque esiste”.

Grifone: “Sei rimasto il solito essere pesante che ricordavo. Napoletani e genoani erano destinati a essere gemellati, quello fu solo lo spunto per il destino ineluttabile. Siamo entrambi popolo di mare e siamo le due città italiane che hanno la maggiore scuola musicale. Pensa a Fabrizio De André, genoano che ha cantato in napoletano, a Gino Paoli, a Baccini. Per non dire di Frank Sinatra, che ha cantato ‘O sole mio e si è fatto seppellire con una cravatta rossoblù, in segno della sua passione per Genova e per il Genoa. Sia noi sia voi abbiamo fatto il tragitto che ci ha portato dalla serie C a Anfield Road, il campo del Liverpool, altro luogo di affinità sentimentale e musicale. Siamo stati in serie B insieme e insieme siamo tornati in serie A. Come voi, noi stessi abbiamo avuto idoli improbabili, e li ricordiamo tutti: Bean, Speggiorin, Bittolo. Come voi sappiamo che tifare per la nostra squadra sarà come portare una croce, ma è una sofferenza che ci piace”. 

Ciuccio: “Una volta mi hai raccontato un aneddoto a proposito di Fabrizio De André. Riguardava i suoi dischi e un tifoso della Sampdoria”.

Grifone: “Sì, Fabrizio venne a sapere che un sampdoriano aveva spaccato tutti i suoi dischi il giorno in cui era venuto a conoscenza del suo tifo per il Genoa. A me era parso uno di quegli episodi che raccontano quanto la passione calcistica sia potente, ma lui ne rimase sconvolto”. 

Ciuccio: “Invece io sono sconvolto, anche se sconvolto forse è troppo, dovrei dire che sono turbato, dal fatto che tu in realtà non esisti. Forse sei l’unico simbolo irreale di una squadra di calcio. L’unico che viene da una leggenda. Questo elemento ti rende speciale ai miei occhi e mi piacerebbe anche capire qual è la tua idea a proposito, e se secondo te esiste una relazione fra la tua assenza nel mondo reale e la genoanità”. 

Grifone: “Come sai, nello stemma della città di Genova ci sono due grifoni che reggono lo scudo con la croce di San Giorgio. Quando è nato il club, c’era la voglia di legarlo alla storia della città. Una identificazione totale. Fu scelto solo uno dei due grifoni, io, quello rampante verso sinistra, affinché fossi inserito dentro uno scudo bordato d’oro. Anche tu in principio eri rampante, un cavallino rampante: altro elemento che ci gemella, che ti piaccia o no. La prima relazione che vedo tra me e il concetto attuale di genoanità viene dalla posizione in cui mi trovo. Guardo verso sinistra e non verso destra, che è come essere rivolti all’indietro, al passato. Questo è un omaggio al calcio dei pionieri, quello in cui abbiamo messo insieme i nostri scudetti. Ma non è un rifiuto del presente. Guardo a sinistra perché noi genoani sentiamo di andare contromano, da soli. Metà aquila e metà leone, sono animale di terra e di cielo. Non un compromesso, ma una sintesi di prontezza e diligenza. Ho il rosso del sangue e il blu del cielo, l’alto e il basso, le interiora e l’ascesi. Pensa un attimo al rapporto che esiste fra la piazza e la società. Il presidente del Genoa è una sorta di amministratore di condominio. Lui ha le chiavi della passione popolare, ma ne deve rispondere. Se prende una decisione che al condominio non piace, quella decisione si cambia”. 

Ciuccio: “Ti chiedo un’ultima cosa e poi ci avviamo insieme allo stadio. Parlo di un altro tratto distintivo che trovo in comune tra noi e voi, avresti potuto citarlo per rafforzare la tua teoria sulla necessità del gemellaggio. Sia noi che voi siamo tifosi quasi per discendenza, per eredità. Siamo tifosi della squadra dei nostri nonni, dei nostri padri e dei nostri figli. Che effetto ti fa?”. 

Grifone: “Nascere genoani è una grande fortuna. Ci si avvelena il fegato ma si fortifica il cuore. Si impara che la vita è un saliscendi, un via vai fra i giorni felici e quelli amari, fra la serie A e la serie B. Si impara che il passato non si getta via (i nove scudetti) e si accetta l’idea della imprevedibilità del futuro, dentro il quale un giorno ci sarà lo scudetto della stella. Io ci credo. Il secolo leggendario di vita lo senti sempre dentro, alla stessa maniera senti dentro la mole enorme di ingiustizie subite, i Miura e gli Zigoni, avverti come se fossero tue tutte le sofferenze patite dai nonni nella storia. Ma il bello del Genoa è che con il Genoa non ci si annoia mai”.
Il Ciuccio

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