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Al Napoli è mancato più Hamsik o Gonalons?

Al Napoli è mancato più Hamsik o Gonalons?

Un altro girone è andato, la sua musica ha finito. Il Napoli ha concluso terzo, a tredici punti dalla Juventus, a otto dalla Roma e a pari merito con la Sampdoria. Nove punti in meno rispetto allo scorso anno, quando avevamo anche la Champions. Posizione immutata. Dodici mesi fa, la piazza aveva ancora un’esigua speranza di rimanere agganciata al carro. Poi venne il 2-2 sotto la pioggia di Bologna col gol di Rolando Bianchi all’ultimo minuto. Stavolta, la speranza pare non esserci più. Definitivamente seppellita in quella che potrà essere ricordata, a seconda dell’umore, come la serata Tagliavento o quella #cipuostare; di certo, come quella in cui Rafa Benitez suonò lo spartito che gli permise di essere finalmente amato in città.

Il cosiddetto bilancio è piuttosto chiaro. Il Napoli rende meglio lontano dal San Paolo. Due sconfitte fuori e due sconfitte a Fuorigrotta, ma più punti lontano: 18 contro 15. In casa il Napoli ha perso la prima e l’ultima. Quella col Chievo, dopo un primo tempo ben giocato e un rigore sbagliato. In mezzo, tanti pareggi con le cosiddette piccole: il 3-3 col Palermo, nella notte più preoccupante, quello col Cagliari di Zeman, entrambi dopo un iniziale 2-0; il 2-2 con l’Empoli. La partita più bella è certamente stata quella contro la Roma: 2-0, un primo tempo da cineteca e i primi venti minuti da museo del calcio. La più brutta è un pari merito tra Palermo e Empoli, in cui probabilmente in fotografia vince il 3-3 coi siciliani nella sera in cui in curva B si riusciva a vedere la partita seduti, tanto eravamo pochi. 

La riscossa, invece, è quasi sempre avvenuta in trasferta. Quando il gioco si fa duro, il Napoli vince uno a zero. In trasferta. Lo ha fatto a Reggio Emilia, contro quel Sassuolo che oggi è a un punto da Inter e Milan. Gli avvoltoi volavano bassi quella domenica. Il Napoli sfoderò un suo classico: Higuain sul secondo palo per Callejon. Poi tanta sofferenza. Uno a zero anche a Firenze in quella che sembrò la partita della svolta definitiva e invece fu quella in cui perdemmo Insigne. Ci pensò Higuain, in proprio. Gioco scintillante e sofferenza finale. Sofferenza, come contro il Sassuolo. Come domenica contro la Lazio. Serviva vincere dopo la Juventus. Uno a zero. Ancora Higuain. C’è meno tensione in trasferta. C’è più possibilità di pensare a se stessi. Al San Paolo è diverso. Ma ne abbiamo parlato tante volte.  

È stato il girone del tiro a Benitez, delle accuse a Rafael (fino a quando gli dei, a Doha, hanno deciso che il troppo era troppo), del rimpianto per Reina (nel frattempo infortunato in Baviera), delle letargie di Albiol, dei lampi di Koulibaly (spesso responsabile di gol subiti ma tante volte baluardo difensivo con tratti vagamente epici), delle amnesie di Higuain (nostra croce e delizia ma quando è delizia non ce n’è), della consacrazione di Insigne, della rivoluzione a centrocampo, dell’attesa di Hamsik.

Hamsik. Oggi il calcio è statistica. Numeri. Percentuali. Sensori. Che coprono il campo, misurano le accelerazioni, la copertura del campo, i battiti cardiaci. Ci vorrebbe un altro macchinario, il what if. Se avessimo avuto Hamsik? Ah se avessimo avuto Hamsik, la nostalgia già ci avvolge. Ma non c’era. Ci sarà? Lo abbiamo avuto più di un’ora a Doha. E si è visto. Nel frattempo, si è fatto avanti De Guzman che era scomparso dopo la zampata all’ultimo minuto contro il Genoa. Non si sa perché, noi deridiamo sempre i giocatori che non conosciamo. Come se fossimo realmente convinti che i calciatori acquistati in realtà provengano da serie minori. E invece De Guzman ha giocato i Mondiali. Come peraltro il desaparecido Henrique, eh.

Benitez ha avuto problemi davanti. Praticamente in ogni ruolo. Persino con Callejon che però si è salvato segnando nove gol e mostrando a tratti quel suo gioco che in Italia (e forse non solo) nessuno è in grado di riprodurre. Ha dovuto cercare col lanternino Higuain, lo ha sollecitato più volte, lo ha provocato (con le parole e con Zapata), le ha provate tutte per dinamizzarlo. Ha perso il calciatore che più di ogni altro ha mostrato di aver compreso le sue lezioni, ossia Insigne, infortunatosi alla vigilia della convocazione in Nazionale. E ha perso Hamsik. Quattro su quattro.  

A centrocampo, ha sovvertito le gerarchie. Le ha fatte dal primo giorno. Gargano ha giocato tutto il precampionato ed è stato titolare contro l’Athletic Bilbao sia all’andata sia al ritorno. L’altro punto di riferimento sembrava Jorginho. Ha giocato lui, in coppia con David Lopez, contro la Roma. Poi anche l’italo-brasiliano è retrocesso in panchina. I titolari oggi sono Gargano e David Lopez. L’anno scorso la finale di Coppa Italia la giocarono Inler e Jorginho.

Ha cambiato tanto Benitez. In pochi se l’aspettavano. Forse, per la prima volta, ha anche sbagliato un aqcuisto. Anche se sbagliato non è il termine giusto visto che Michu non lo abbiamo quasi mai visto all’opera complice un infortunio. E con lui, ovviamente, Zuniga. 

Ma Rafa va giudicato anche per quel che ha invano provato a portare a Napoli. Troppo facile parlare di Mascherano, nome buono per chi ne sa sempre di più. L’uomo, in realtà, è sempre stato Gonalons. Considerato quasi all’unanimità un brocco da noi competenti, è l’anima di quel Lione che oggi in Francia è in testa al campionato. Ci ha provato Benitez, in tutti i modi, a trascinarlo a Napoli. Per certi versi, è stato meglio così. Se Gonalons non si fosse ambientato, Rafa sarebbe stato fatto a pezzi. Nemmeno il j’accuse juventino lo avrebbe salvato. La piazza aveva decretato che Gonalons era un brocco. E così sia. Quando arrivò David Lopez, di lui Benitez disse: «Non è Gonalons ma ci servirà. È un giocatore di ruolo». Non male nemmeno il campionato di Fellaini, prima emarginato da Van Gaal poi reintegrato e di tanto in tanto impiegato per salvare il Manchester United. Per lui tre gol e una stagione accettabile dopo quella disastrosa dell’esordio.

In mezzo a tutto questo il Napoli ha vinto un’altra Coppa. Due trofei nel 2014. Il secondo e il terzo dell’era De Laurentiis. Dieci anni e tre trofei. Due con Benitez. Ci vorrebbe la lunga durata, lezioni collettive, ore e ore di trasmissioni televisive dedicate al concetto. Utopia della comunicazione. Il 2015 si apre con i seguenti obiettivi: almeno il terzo posto e le due Coppe (anche se della Coppa Italia noi ci siamo stancati, eppure oggi – a proposito della Roma – la Gazzetta scrive che i giallorossi sono a caccia della decima, come se si trattasse della Champions per il Real). E poi ci sarebbe la questione del contratto. Fin qui al Napoli sono stati accostati Montella, Mihajlovic, Pioli, Lippi, Klopp, Conte, Spalletti, Capello. Altri se ne aggiungeranno. Oggi il partito di Rafa ha percentuali bulgare. Vuoi vedere che il cantiniere riuscirà a farsi rimpiangere persino da chi da un anno e mezzo gli urla contro?
Massimiliano Gallo

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