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Zapata, l’ex brocco che segna quanto Morata e che ora qualcuno vorrebbe titolare

Zapata, l’ex brocco che segna quanto Morata e che ora qualcuno vorrebbe titolare

Il Napoli è tornato a vincere. Due a zero contro un Parma in disarmo, in uno stadio che è la perfetta fotografia della follia collettiva che si è impadronita della Napoli calcistica e che temiamo la abbandonerà solo quando sarà il momento di entrare nella stanza dei rimpianti, altrimenti denominata “delle lacrime di coccodrillo”. Per dirla alla Arbore, comunque, “meno siamo e meglio stiamo” e si conferma la tradizione del pochi ma buoni fin qui smentita solo dall’eccezione Palermo. La dimensione ideale di Napoli sono i 25mila spetttaori: uno stadio piccolo, compatto, magari fornito dei migliori comfort. 

La partita in sé non fa testo né induce a particolari ottimismi. Dopo i quattro incontri senza vincere in campionato (Cagliari, Sampdoria, Empoli, Milan), al San Paolo si è presentato un Napoli convalescente. Lontano da quello in crescita che avevamo visto all’opera contro Torino e Verona, preludio all’uno-due di Roma e Fiorentina da cui poi non ci siamo più ripresi.

Benitez ha schierato l’inedita coppia difensiva Henrique-Britos e davanti si è affidato a Zapata al posto del diffidato Higuain. Il gigante colombiano è diventato il protagonista della serata. E anche del giorno dopo. Dopo qualche passaggio iniziale a dir poco macchinoso, una certa qual difficoltà ad addomesticare il pallone col piede (invero ruvido nonostante prodezze come quella di Marsiglia), Zapata ha siglato la rete dell’uno a zero con un’azione in area modello cartoni animati: addomestica la palla, prova a girarsi, viene tirato giù e comunque si gira e segna. L’immagine che lascia il gol è quella di un omone cui si aggrappa, invano, mezza difesa avversaria.

Grezzo, senza dubbio grezzo, Zapata. Talvolta, però, efficace. Sembra quei calciatori di football americano che vengono utilizzati nell’ultimo disperato tentativo di conquistare le dieci yard rompendo il muro avversario.

È pressoché impossibile da marcare. Quando può, parte in una progressione che con molta, molta eh, benevolenza ricorda George Weah. Ed è essenziale. Con quello di ieri sera, è arrivato a quota quattro reti in campionato: tre nelle ultime quattro partite. Ha segnato al Palermo, alla Sampdoria (le segnò anche l’anno scorso), all’Empoli e al Parma. Ha realizzato quattro gol come lo juventino-madridista Morata, quasi suo coetaneo (è un anno e mezzo più vecchio), con ottanta minuti in meno (309 contro 390). Zapata ha una media di un gol ogni 77 minuti, Morata ogni 97.

Ovviamente Zapata non è Higuain, ci mancherebbe. Nemmeno della sua controfigura. In ogni caso, Zapata ora può essere considerato un vice quasi affidabile. E con tanti margini di miglioramento. Anche lui, come tanti altri, è arrivato a Napoli tra lo scetticismo e in questo caso anche il sarcasmo generale. Non si sa bene perché, probabilmente perché il Napoli lo strappò al Sassuolo. Oppure perché radio mercato aveva gracchiato di Jackson Martinez dopo l’acquisto di Higuain e, si sa, che ogni panzana a Napoli è legge. Soprattutto se porta acqua al papponismo. 

Imperturbabile, la scorsa estate Benitez andò a consultare il suo data-base alla lettera zeta e ritrovò una sua vecchia conoscenza: Mauricio Pellegrino, che prima vinse tutto con lui al Valencia da calciatore e poi ne fu il vice in panchina per due anni a Liverpool e per sei mesi all’Inter. Pellegrino allenava e allena l’Estudiantes, dove giocava appunto Zapata. Una telefonata, una lunga conversazione e l’ok. Quando c’è da insegnare calcio, da sgrezzare, Rafa c’è sempre. Nella sua idea di calcio, il centravanti prestante non ha avuto molto spazio. A Liverpool ha allenato il potente e mobile Cissè; poi si innamorò del lungagnone tecnico Crouch, tutt’altro che possente. Ha cominciato a lavorare su Zapata e evidentemente ha capito che il calciatore c’era. Lo gettò nella mischia a Marsiglia sullo 0-1 per noi al posto di un Higuain poco in palla e reduce da un malessere alla coscia. Venne ripagato da un gran gol a giro sotto la traversa. Nel finale di campionato, lo scorso anno, segnò cinque gol, con due doppiette: a Catania e contro il Verona nell’ultima di campionato.

Con i suoi modi apparentemente bonari, Rafa si è anche abilmente destreggiato tra le insidie linguistiche di De Laurentiis che desidera chiamare Zapata col nome di battesimo: Duvan. Benitez sorride e dice con gli occhi: come lo volete chiamare, Zapata? E Zapata sia. Duvan? E Duvan sia. Alternato? Alternato.

Lui il suo lavoro lo sta portando avanti. Ha dotato il Napoli di un vice Higuain e adesso anche quelli che fino a qualche settimana imprecavano perché la squadra non aveva un rimpiazzo all’altezza di Gonzalo, ora ne invocano l’utilizzo dal primo minuto. Zapata come centro boa, alla Massimiliano Ferretti, e Gonzalo che gli gira intorno come la musica di Fossati. Benitez ha sempre nicchiato. Ora è più aperturista. Va da sé che la coppia d’attacco implicherebbe la panchina di Hamsik. Così come Benitez sa bene che Zapata è importante per provare a pungolare Higuain (sempre che qualcuno ne sia capace) ma non può certo prenderne il posto. E sicuramente non a Doha. Dove il Napoli è da poco atterrato. Servirà un’altra squadra lunedì per giocarsela contro la Juventus, lontanissima parente di quella vista nell’ultimo mese. Vedremo.
 

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