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De Laurentiis, il delitto di lesa napoletanità e quella oleografia che si sta riprendendo Napoli

De Laurentiis, il delitto di lesa napoletanità e quella oleografia che si sta riprendendo Napoli
L'arte della felicità

Il delitto è quello di lesa napoletanità. Non ce ne sono altri. Il reato di cui si è macchiato e di cui continua a macchiarsi De Laurentiis è questo: non genuflettersi, non sorprendersi con ohhhh di meraviglia alla città più bella del mondo, al lungomare più affascinante del mondo, alla favola del popolo più sentimentale e altruista del mondo. Insomma, l’accusa è di rinunciare all’armamentario luogocomunista che tanto ci infastidisce quando viene declinato al negativo e che invece ci inorgoglisce come tacchini quando volge al positivo e diventa quindi, secondo noi, mera fotografia della realtà.

Che cosa è successo con questo burino romano? RO-MA-NO. È successo che lui, nella seconda fase della sua vita professionale a Napoli, ha cambiato atteggiamento. Dopo aver capito, probabilmente il giorno della festa della promozione a Marassi – come scrisse Carratelli in un suo libro – che nessuno si era ricordato di lui. A lui era riservato il compito di cacciare i soldi perché di calcio non capiva niente. Da quel giorno, ha cominciato a trattare Napoli come se fosse Rovigo. In omaggio al fantastico Troisi di “No grazie, il caffè mi rende nervoso” che nel suo monologo con l’immaginario serial killer Funiculì Funiculà dice: «Basta, cagnate Rovigo, perché adda’ cagna’ sempe Napule?».

Come se Napoli fosse una città adulta. Diciamo la verità, che cosa ha detto De Laurentiis? Quel che tanti napoletani pensano e affermano in tanti momenti della loro giornata. Quel che un tempo era oggetto di tante discussioni che oggi sono scomparse perché i toni sono diventati troppo accesi e inaccessibili per qualsiasi persona che possa definirsi civile e moderata. De Laurentiis ha detto parole che non suonano molto dissimili da quelle che pronunciò pochi giorni fa Patti Smith: “Non posso parlare per i napoletani, credo che debbano farlo da soli. Ho un solo consiglio da dare loro. Non dimenticate che avete una voce. Fatela sentire”. E dubitiamo che si riferisse alla condizione del Calcio Napoli. 

De Laurentiis, come ha ironicamente evidenziato Nando Deguti, ha il difetto di non voler fare fessi e contenti i napoletani, il suo pubblico, i suoi clienti. Dice loro che la sua forza imprenditoriale, il successo della sua azienda, prescinde da loro. Li/ci tratta da adulti. Prova, inutilmente, a far comprendere principi base di economia aziendale, ricorda come in città il Napoli sia una delle poche realtà che funzionano. Una delle pochissime con un’immagine internazionale, con un allenatore noto in tutta Europa (che non a  caso qui è denigrato). Lo fa, De Laurentiis, non in maniera avvolgente. Lo fa senza ipocrisia. Come si conviene quando si parla con adulti. Magari a una platea che di fondo non si stima.  

Lo fa – e qui è il nodo della vicenda – praticamente da solo. Napoli, una parte di Napoli, si è arresa. E ha arretrato. Sempre più. Per timore o solo per quieto vivere. Il corso del fiume che percepisce è quello del papponismo (se parliamo di De Laurentiis) e vi si adegua. Nonostante, come abbiamo già più volte scritto, la pubblicazione del bilancio abbia evidenziato altro. L’emblema è la statua di De Laurentiis che chiede l’elemosina, con Il Mattino che scrive di equivoco anche dopo aver pubblicato uno scatto del fotografo Antonio Di Laurenzio. Perché? Perché tutte quante amma campa’, come – narra la leggenda – disse un tecnico che lavorava con Eduardo difendendosi dalle accuse del maestro. “E chi l’ha detto?” sembra che gli rispose Eduardo, colui il quale squarciò il velo dell’oleografia e del buonismo napoletano.

Oggi Napoli ha rinunciato a un contraddittorio. Ad arginare il corso del fiume. Parlano con voce stentorea coloro i quali si intestano i pensieri, le idee e le emozioni del tifoso, versione contemporanea della casalinga di Voghera. Possibile che in città non si trovi una voce dissonante sul tema? A parte noi del piccolo vascello Napolista, per questo considerati al soldo di De Laurentiis. Non c’è una voce dissonante perché occorre anche un po’ di fatica. Bisogna portarsi a casa un bel po’ di insulti, e magari anche qualche vecchio amico ti toglie persino il saluto. Come è già capitato a chi in tempi di buriana antiberlusconiana provava a ragionare con la propria testa.

Un’altra Napoli arretra. Colpevolmente. E lascia campo, lascia mare. A quella che potrebbe sembrare una vasta maggioranza, ma che con ogni probabilità è solo più rumorosa. Qui, dal piccolo vascello, possiamo solo dirvi che i commentatori rappresentano lo zero virgola dei nostri lettori, che i pezzi più letti e condivisi sono proprio quelli più odiati. Perché un’altra Napoli c’è. Silenziosa ma c’è. Se trovasse qualche peronsaggio pubblico cui aggrapparsi, magari verrebbe anche fuori. E invece sembra che Napoli si stia avviando, non so cosa stia avvenendo nel resto d’Italia, a un pensiero unico. Qui il leghismo non ha sfondato come movimento elettorale. Ma come movimento culturale o pseudo-culturale sì. C’è stato un arroccamento. Non so se oggi Napoli possa “produrre” un Massimo Troisi, un Pino Daniele, artisti di rottura che denunciavano fortemente la visione oleografica della città. Chissà che non sia una caso, per fare un esempio, che il napoletano Paolo Sorrentino, premio Oscar, abbia sempre evitato di affrontare la nostra città nei suoi film. Magari sbagliamo, magari esageriamo. Qualche segnale in controtendenza è arrivato proprio in questi giorni, col regista Alessandro Rak che ha vinto l’European Film Award per l’animazione con L’arte della felicità, ambientato in una Napoli piovosa. Come Scusate il ritardo. Come Malacqua. E se fossimo la città della pioggia?  
Massimiliano Gallo
 

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