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Intervista a Zedda, sindaco di Cagliari: «Ero al San Paolo per il famoso spareggio col Piacenza. Il Napoli? Non abbiamo paura»

Intervista a Zedda, sindaco di Cagliari: «Ero al San Paolo per il famoso spareggio col Piacenza. Il Napoli? Non abbiamo paura»

Se sulla genuinità della passione napolista del sindaco di Napoli de Magistris qualcuno ha nutrito e nutre ancora qualche dubbio (inizialmente si malignava fosse più di fede nerazzurra che azzurra ma poi lui ha smentito), su quella del cuore rossoblù del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, nessuno ha mai avuto incertezze. Se non altro perché anche prima di essere eletto stava sempre allo stadio, teneva pure l’abbonamento, anche ai tempi della serie C, e andava a sostenere i mori ovunque, in casa come in trasferta. Compresa quella tristemente celebre di Napoli: era il 1997, lui aveva 21 anni e il Cagliari venne a giocarsi sul campo “neutro” del San Paolo lo spareggio con il Piacenza per la salvezza in A. Risultato: 3 a 1 per gli emiliani, scontri e incidenti prima dopo e durante la partita tra tifosi cagliaritani e napoletani, l’inizio di una strana quanto incomprensibile rivalità tra due delle più grandi tifoserie del Sud.

Allora sindaco, partiamo subito dal punto più dolente, dov’era lei il 15 giugno del 1997, quando il Cagliari venne a Napoli per giocarsi in un campo che doveva essere “neutro” la salvezza contro il Piacenza? Era anche lei tra i ventimila tifosi del Cagliari giunti al San Paolo per sostenere la squadra? Se no, questa domanda si autodistruggerà etc etc. Se sì, ci racconta la sua trasferta? Com’è andata? Perché quella partita ha compromesso i rapporti tra le due tifoserie?
Quel giorno ero al San Paolo, sì, insieme alle migliaia di sardi partiti da Cagliari ma arrivati anche da tutto il resto della penisola. Fu una trasferta lunga, iniziata ben prima di salire sulla nave: in Sardegna c’era grande attesa per quello spareggio già dalle settimane precedenti. Ma non credo che sia stata quella partita a compromettere i rapporti tra le tifoserie. Le provocazioni e gli scontri  iniziarono subito, appena ci fu permesso di sbarcare dopo una lunga attesa a bordo del traghetto. Già nel tragitto dal porto allo stadio i bus che erano arrivati dalla Sardegna divennero bersaglio degli ultras napoletani. Ricordo i cancelli ancora chiusi al nostro arrivo allo stadio, il furto di uno striscione all’interno e le notizie di altre aggressioni ai sardi arrivati a Napoli con mezzi propri. La tensione sempre più alta e le cariche della polizia, fuori e dentro il settore che ci ospitava: una situazione sfuggita di mano a chi in quel momento doveva gestire l’ordine pubblico. Ricordo soprattutto le lacrime di Tovalieri, a fine gara, e quelle di molti tifosi: nonostante la sconfitta, si continuava a cantare. Sapevamo che saremmo tornati subito in Serie A, come poi è successo: ecco, quei cori e quella convinzione sono il ricordo più bello. 

Al di là di quello che è successo quel giorno a Fuorigrotta, secondo lei quanto ha influito la decisione di Fonseca di lasciare Cagliari per Napoli?
Vede, a Cagliari ci piace guardare avanti: Fonseca è stato uno dei tanti arrivato a Cagliari da semi sconosciuto e poi partito verso una grande squadra. In molti hanno fatto così, ma quello che conta qui è la maglia. Di quella si innamora chi decide di restare nonostante le lusinghe, e penso a Daniele Conti, o ad Andrea Cossu, che ha fatto di tutto pur di rientrare a giocare a Cagliari da Verona.

Napoli e Cagliari sono le uniche due città del Sud Italia che hanno vinto lo scudetto. E se proprio la vogliamo dire tutta, Cagliari è stata la prima, nel ’70, col grande Gigi Riva. Noi con Maradona ci siamo arrivati dopo ma per entrambi lo scudetto ha significato molto di più che la semplice conquista di un titolo sportivo. Cosa si può fare per riavvicinare in qualche modo le due tifoserie?
Il punto non sono le tifoserie quanto piuttosto la necessità di trovare per forza un “nemico”. In tanti si interrogano, da anni, su cosa fare per arginare il fenomeno della violenza e la risposta non è semplice. Ecco, credo che guardare avanti anche in questo caso possa aiutare: se si perde di vista il senso dello sport è finita. Nel calcio, come nella vita, ci sono tante belle storie da raccontare: invece si parla solo di fatti negativi.

Zeman: o si ama o si odia, tertium non datur. A meno che non ce lo voglia dare lei, il tertium dico: lo ama? Lo odia? Un po’ e un po’? Come ha reagito alla notizia dell’arrivo del tecnico boemo sulla panchina del Cagliari? Apprezza il suo gioco o pure lei fa parte di quella schiera di tifosi/commentatori che considera l’offensivismo e la ricerca del bel gioco come incapacità di comprendere il calcio italiano? No, perché qua a Napoli a noi con Benitez a volte succede.
Zeman si ama. Zeman è uomo e allenatore preparato, coerente, che parla poco e lavora molto. Crede nei giovani, nelle loro potenzialità, senza paura di lanciarli nel calcio che conta. E a Cagliari era da un po’ che non vedevamo un gioco così spumeggiante: si può pure perdere, ma si corre tutti insieme sino al novantesimo e oltre quando serve.

A proposito di Benitez, qual è il suo giudizio sulla “rafalution” imposta dal tecnico a Napoli?
Mi godo la nostra, di rivoluzione: quella zemaniana.

Chi teme di più tra gli azzurri?
Quando giocavo, il nostro mister ci diceva sempre: “Rispetto per tutti, paura di nessuno”. Credo sia valido anche per la Serie A, no?

Ah! Lei giocava! E in che ruolo?
Difensore di fascia, quello che un tempo si chiamava terzino.

Vabbe’, torniamo all’attualità. Domenica c’è Napoli-Cagliari. Il vostro portiere, Cragno, ha dichiarato senza mezzi termini che la formazione di Zeman “può fermare” il Napoli. E’ d’accordo? Verrete davvero a giocarvi la partita? Non temete l’effetto San Paolo?
Ma secondo lei una squadra allenata da Zeman davvero si pone questo problema?

E che ne so, nel calcio italiano tutto può essere. Ma passiamo all’argomento stadio: come in passato nella sua città, anche a Napoli quando si parla di ristrutturare lo stadio e di modificarne proprietà e status giuridico, il rapporto società-comune/De Laurentiis-De Magistris diventa una specie di telenovela. Perché è così difficile mettersi d’accordo? 
Il punto, per chi è chiamato a gestire la cosa pubblica, è il rispetto delle regole. In passato, con la vecchia società, abbiamo avuto difficoltà a sederci a un tavolo e discutere di fatti concreti. Oggi con il presidente Giulini è tutto più semplice.

Una domanda sentimentale: ci racconti com’è stata la prima volta che ha visto la partita allo stadio da sindaco.
Ho avuto l’abbonamento negli anni più difficili e durante tutta la cavalcata dalla C alla A. Lo stadio è sempre una bella emozione, coinvolgente e a volte faticosa. Non conta chi sei tu, conta la squadra e chi scende in campo.

Questa domanda l’ho lasciata alla fine perché so che potrebbe vanificare tutto il mio impegno per ottenere l’intervista. Ma gliela devo fare. Dunque, Maradona è meglio ‘e Pelè? E di Gigi Riva?
Non c’è storia. Che Gigi Riva sia il meglio qui da noi lo dicono tutti, dai bambini che ancora non hanno messo piede allo stadio sino a chi anche da anziano non ha mai visto una partita. Gigi Riva non si discute. Anna Trieste

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