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Cinque mesi dopo, un’altra staccionata. Ma senza Genny ’a carogna è più facile chiudere gli occhi

Cinque mesi dopo, un’altra staccionata. Ma senza Genny ’a carogna è più facile chiudere gli occhi

Non tutte le staccionate sono uguali. È questa un’angolazione da cui osservare e riflettere su quel che è accaduto domenica pomeriggio a Bergamo. Non tutti gli ultrà a cavalcioni su una staccionata a colloquio con i giocatori della loro squadra suscitano lo stesso clamore. Non mancano le differenze, si dirà. Non c’è stato uno scontro prima; non ci sono stati colpi di pistola e nessuno è stato ridotto in fin di vita; non c’è stata alcuna delega della pubblica sicurezza concessa a un capo tifoso o pseudo tale. 

C’è però un’immagine piuttosto chiara. Lo ha scritto Fabrizio Bocca sul suo Bloooog! di Repubblica, sotto l’inequivocabile titolo “Sempre la stessa vergogna, perfino i giocatori del Parma (ex isola felice) processati e umiliati dai tifosi: lo scandalo è la Federcalcio che non stronca questo fenomeno di inciviltà sportiva”. E, persino più della Federcalcio, lo scandalo è il presidente del Parma Ghirardi – citato da Bocca – che candidamente dichiara: «I nostri tifosi, correttissimi, gradiscono essere salutati a fine partita. Ieri la squadra non l’aveva fatto, e i dirigenti li hanno avvertiti. È stato un confronto sereno. Mi spiace che i quotidiani abbiano spiegato male». 

Più o meno le stesse parole pronunciate un anno fa (e sì, è passato meno di un anno) dal direttore sportivo della Nocerina quando i giocatori si accasciarono uno dopo l’altro in Salernitana-Nocerina dopo essere stati minacciati dai tifosi. Di questi episodi potremmo citarne uno a settimana. Ormai quasi non fa più notizia. Fino a che non compare Genny ’a carogna, ovviamente. Fino a che la minaccia non diventa eclatante, come accadde due anni e mezzo fa a Genova. Dopo il clamore, il calcio riprende a far finta di niente. La montagna di indignazione all’indomani di Napoli-Fiorentina di Coppa Italia ha partorito il topolino di provvedimento che nulla cambia; desta solo molto scalpore – e non a torto – l’introduzione della pistola laser. 

Chiunque provi a ricordare quale sia il rapporto di connivenza tra le società di calcio e i tifosi organizzati viene messo a tecere. Persino se è un mostro sacro del calcio come Fabio Capello che, meno di una settimana fa, ha ripetuto un concetto a lui molto caro da anni ormai: “In Italia allo stadio si va alla guerra. Per questo non si portano i bambini, perché sono gli ultrà che decidono. Ci sono state curve di alcune squadre, la Lazio che gestivano merchandising e biglietti. Gli ultrà non andavano a lavorare, ma facevano il mestiere degli ultrà”. La prima volta lo disse a Coverciano, nel 2009. Da allora nulla è cambiato.

E nulla fa notizia. Nemmeno lo sfogo di Gasperini ieri sera al termine di Genoa-Empoli proprio contro i tifosi o presunti tali. «Il Grifone di qualche tempo fa era inguardabile, e sembrava più famoso per le magliette consegnate agli ultrà che per il gioco espresso in campo». Insomma, c’è ben più di un malessere nel calcio italiano. E l’eufemismo è voluto. Andare allo stadio da anni non è più una gioia, tranne in rare isole felici. Il governo del calcio sembra disinteressarsene. Le società si sono addirittura battute per neutralizzare la norma che puniva le discriminazioni territoriali. Hanno eletto un nuovo presidente – Carlo Tavecchio – il cui primo provvedimento è stato venire incontro alle richieste dei tifosi organizzati. Dopo la serata del 3 maggio, non è cambiato nulla. Anzi. Cinque mesi dopo abbiamo avuto un’altra staccionata. In cinque mesi non si è riusciti a modificare nulla. Tant’è vero che Napoli-Roma del primo novemebre sarò negata ai residenti nel Lazio. Una decisione inevitabile considerato lo stato delle cose. È l’ennesima ammissione della sconfitta dello Stato e di chi ancora sogna di poter un giorno andare a seguire una partita di calcio come se fosse uno sport, un passatempo. Siamo rassegnati anche noi. Aspettiamo stancamente la prossima staccionata.
Massimiliano Gallo

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