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Il Pappone Football Club e la sindrome Checco Zalone

Il Pappone Football Club e la sindrome Checco Zalone

Il Pappone Football Club gioca fra la tristezza della sua gente. A volte vince, a volte perde, come è naturale che sia nel calcio e nello sport, né più né meno quello che succede tutti i giorni a tutti noi, ma sempre va in campo fra i musi appesi dei tifosi. Ha giorno e notte qualcosa in meno di qualcun altro, questo gli rimproverano, questo gli dicono al Pappone Football Club, che non ha speso, spilorcio, taccagno e pidocchioso. Il Pappone Football Club si preoccupa di tenere in ordine il bilancio, vuole fare calcio sostenibile, provare a stare al vertice senza follie, sempre che sul termine follia si sia tutti d’accordo, diciamo senza indebitarsi che ci capiamo meglio. Viene elogiato dalle istituzioni internazionali del calcio e viene indicato come moderno modello di sviluppo dai suoi leader, ma è come un disco di quei cantautori tutti impegno e sigarette: piacciono alla critica ma in classifica non ci vanno. Il Pappone Football Club genera malumore perfino quando in classifica ci va, poiché la sua gente pensa che in classifica potrebbe andarci meglio, più su, più su, dove stanno gli altri. Ma gli altri chi? Quelli che spendono. E’ la sindrome Checco Zalone, che indica al figlio uno yacht e lo ammonisce, non è questa la felicità, quella è la felicità, gli fa puntando il dito verso un altro barca, versione extralusso.

Il Pappone Football Club si è dato una linea. Comprare calciatori che si possano valorizzare per poi rivenderli magari un giorno ai ricconi, e rivenderli bene. Comprare e reinvestire. Quando si accorgono che la cosiddetta “linea del bisogno” si sta alzando, che gli introiti restano sostanzialmente uguali o peggio ancora si contraggono, se il fatturato non cresce, tengono qualcosa da parte per essere certi di potersi garantire lo stesso monte ingaggi l’anno successivo. Popolare non è. Ma quello che conta è stabilire se la cosa funziona, se davvero può essere un modello di calcio, come raccontano Platini e l’Uefa, come anzi pretendono che sia. Pappone. In inglese: pimp. Il Southampton, squadra inglese, quest’anno ha venduto metà squadra incassando 199 milioni di euro, con un tesoretto di 46 milioni non speso. Si è privato di Shaw, Lallana, Lovren, Chambers e Lambert in un colpo solo, eppure sta giocando un avvio di stagione memorabile, secondo dietro il Chelsea, segno che forse il mercato non è tutto e conta il lavoro sul campo, in questo caso di Ronald Koeman, olandese cresciuto tatticamente in Spagna. Nils Liedholm raccontava di aver preso da parte Tassotti e avergli insegnato come si palleggia: oggi il suo presidente verrebbe invitato a tornare sul mercato per prendere un altro terzino, meglio se famoso e costoso. Pappone. In olandese: pooier. L’Ajax ha incassato 28 milioni in estate e ne ha spesi appena 4. Per storia e tradizione punta tutto sull’Academy, vera fonte di finanziamento del club. E’ primo in classifica. Pappone. In portoghese: cafetao. Il Benfica, in Portogallo, messo in cassa 77 milioni e ne ha spesi 36. Cosa dire poi del Porto, che negli anni ha venduto Carvalho, Pepe, Deco, Anderson, Falcao, James Rodriguez, e il prossimo in lista è Jackson Martinez.  L’acquisto più folle è stato Hulk, comprato per 19 milioni, rivenduto più tardi, ovviamente a 40. 

Il calcio sostenibile è in opposizione al calcio dei magnati e della finanza creativa, una politica che si fa invidiare ma che non ha piedi meno argillosi. Il russo Rybolovlev, proprietario del Monaco uscito da una storia in cui fu accusato di essere il mandante di un omicidio, ha afferrato tutto quello che poteva due estati fa, per poi affrettarsi a rivendere Falcao e James Rodriguez. Gli sceicchi del Malaga spendi-e-spandi, quanto li abbiamo invidiati. Sono arrivati, hanno portato la squadra in Champions, noi a rosicare e loro l’hanno lasciata sulle soglie del fallimento. Gli altri sceicchi d’Europa, i ricchissimi proprietari di Manchester City e Psg, sono stati sanzionati dalla Uefa per la violazione del fair play finanziario. Un limite gliel’hanno dato. Un buffetto, d’accordo, ma è un primo segnale. Sotto inchiesta è stato messo il Liverpool, 151 milioni spesi quest’anno. Sotto inchiesta le italiane Inter e Roma. Al Barcellona, che costruisce il suo impero sulla Masia, la casa in cui crescono le giovanili, è stato bloccato il mercato fino alla prossima estate per irregolarità nell’ingaggio dei calciatori ragazzini. L’Atletico Madrid, lodato per essere arrivato in finale di Champions con soli 120 milioni di fatturato, oggi è in ginocchio per aver vissuto sopra le sue possibilità: calciatori altrimenti inarrivabili sono stati comprati in società con i fondi di investimento, una pratica che Fifa e Uefa stanno considerando fuorilegge. I debiti no, i debiti sono legali e restano intatti. 

Ci riempiamo la bocca di modelli, senza però andarli a guardare da vicino. Che cos’è il modello Borussia? E’ il modello di una squadra quasi fallita una dozzina d’anni fa e ripartita facendo un passo alla volta, il calcio sostenibile, vendendo quando non se ne poteva fare a meno il proprio uomo migliore (Rosicky, Petric, Sahin fra il 2006 e il 2011), perdendo i propri gioielli perché il Bayern li porta via (Goetze, Lewandowski e probabilmente Reus) e ripartendo ogni volta con due polacchi comprati per 7 milioni e mezzo, un giapponese per 300mila euro, un armeno e un attaccante del Gabon che era stato bocciato dal Milan: onestamente, noi a Napoli come la prenderemmo? A meno che non vogliamo paragonarci al Bayern, che ha alle spalle il sostegno di una regione ricca come la Baviera, oppure al Real Madrid. Casomai bisognerebbe sperare di non farsi ridere dietro.  
Elena Amoruso

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