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Ci vuole Napolitano per bloccare la rivolta di Napoli contro gli arabi e Cannavaro

Ci vuole Napolitano per bloccare la rivolta di Napoli contro gli arabi e Cannavaro

Al terzo giorno di barricate, è dovuto intervenire Giorgio Napolitano a ricordare che la presunzione di innocenza è sacrosanta in Italia. Piazzale Gabriele D’Annunzio sembra ormai la Madrid degli indignados. Fuorigrotta è bloccata da giorni; focolai di protesta anche nella benestante Posillipo. Via Orazio è paralizzata, giorno e notte. Migliaia i napoletani che si sono riversati in strada alla notizia dell’accusa di evasione fiscale nei confronti di Fabio Cannavaro, l’ex Pallone d’oro cui sono stati sequestrati 900mila euro e accusato di aver frodato il fisco attraverso una inesistente attività di noleggio per imbarcazioni di lusso.

E può mai bastare questa notiziola per mettere fuori uso una città in nome della legalità? Conduttori di tg, direttori di giornali, opinionisti a giro, tenutari di talk show spiazzati e destabilizzati. Ma che sta succedendo a Napoli? Hanno impiegato trentasei ore prima di mettere a fuoco. Il primo servizio – targato Mediaset – riferiva di un’ennesima rivolta contro le forze dell’ordine. Rione Traiano, ovviamente. Giunti sul posto, però, gli operatori della Rai non hanno trovato niente. E allora si è diffusa la notizia che Fuorigrotta era paralizzata per un’aggressione a due carabinieri che avevano osato multare un’automobile in seconda fila. E anche in questo caso, la notizia è morta nel giro di un’ora. Diverse ipotesi si sono succedute nel corso della giornata – la più accreditata riferiva di un sit-in spontaneo contro l’annuncio di uno speciale di Report su zeppole e panzarotti – mentre il fiume di persone che scendevano in strada cresceva a vista d’occhio. Nessuno, però, che chiedesse loro il motivo. L’indomani il Corriere della Sera titolava a nove colonne in prima pagina: “L’Isis conquista Napoli”. 

È stato solo verso le due del pomeriggio del secondo giorno che un giornalista – praticante, l’ultimo arrivato – si è avvicinato a una manifestante e ha chiesto: “Scusate, ma perché state protestando?”. E la donna, in un perfetto italiano – al punto che il giornalista ha preteso il documento che attestasse la sua napoletanità – ha risposto: “Siamo preoccupati, non vogliamo che la nostra squadra del cuore possa contare su un patrimonio finanziario di dubbia provenienza. Grande fiducia in Cannavaro, per carità, si difenderà in Tribunale, ma noi siamo preoccupati da queste continue voci e a noi un Napoli con strani intrecci Loggetta-Dubai non piace”. 

Panico. La dichiarazione è trasmessa in diretta a Raidue. Noti giornalisti napoletani dislocati nelle varie redazioni d’Italia, e anche in posti chiave, sbattono i pugni sulla scrivania: «Non è veroooooo. È una candid camera cazzooooo!!!! Scovate la verità, è un falso!». Il giornalista praticante viene licenziato all’istante, il sindacato di categoria si schiera al fianco della Rai e stila un comunicato in cui parla di “giornalismo spazzatura”. Altri inviati, infuriati, prendono per la collottola alcuni manifestanti – tutte persone distinte, la maggior parte giunte lì in moto in casco. “Chi siete???, Chi vi ha pagati?”.

Nel frattempo, in via Orazio, una delle leader della protesta ricorda tutto quel che è stato scritto e detto in questi mesi a proposito del futuro del Calcio Napoli e dei presunti intrecci tra Dubai, Cannavaro e la società oggi in mano ad Aurelio De Laurentiis. “Vogliamo capire la provenienza di questi soldi! Ci hanno dipinti come disposti a tutto pur di avere una squadra vincente, ci hanno raffigurati come pezzenti pronti a srotolare tappeti rossi di fronte al primo uomo coi baffi e vestito di bianco che arriva in città. Ora basta!».

Nelle redazioni non sanno che cosa fare. Timidamente qualcuno prova a dire: “Vabbè ma è chiaro quello che sta succedendo. È una cosa bellissima, una manifestazione spontanea”. Ma quale bellissima, replicano direttori che fino al giorno prima avevano pubblicato e mandato in onda intercettazioni di ogni genere: “Che vuoi che ne sappiano loro. E se Cannavaro è innocente? Ora basta un sequestro di 900 milioni di euro per infangare una persona perbene? Ma stiamo scherzando?». Applausi scroscianti. All’indomani, titoloni dei giornali: “Rivolta giustizialista a Napoli. Cannavaro: “Temo di essere impiccato a piazza Mercato”. Gli opinionisti in studio vengono immediatamente rimpiazzati da fini giuristi che dissertano del garantismo e spiegano come la storica scuola napoletana – da Filangieri fino ai giorni nostri – sia ormai andata perduta. C’è chi chiede il commissariamento della Federico II e il trasferimento del rettorato a Torino.

Nel frattempo, la città continua ad essere paralizzata. Dalla stazione fino a Bagnoli è un vero e proprio tappeto umano. Le forze dell’ordine non sanno più cosa fare. “Non c’è altra soluzione – dice Matteo Renzi – deve andare Napolitano a parlare con loro”. Pare che qui il presidente abbia sgranato gli occhi ma non ci sono conferme. Fatto sta che dà il suo assenso. Si affaccia da Monte di Dio (nel frattempo, a tempo di record, in città è stato montato un sistema di amplificazione che ha ridicolizzatoi Pink Floyd) e dice: “Il garantismo è sacro, tornate nelle vostre case e lasciate che la giustizia faccia il suo corso”.

Le parole hanno il potere di spaccare il fronte della protesta tra chi si ritiene soddisfatto e chi invece si considera gabbato. Cominciano le prime defezioni: chi abbandona perché deve pagare una multa; chi perché ha appuntamento col commercialista; chi perché deve andare a parlare con quelli della refezione scolastica. Vengono tutti schedati e obbligati a frequentare un corso universitario intitolato “Forza garantismo”, pena la perdita del diritto di voto. L’assemblea spontanea lentamente si scioglie. E in una casa, distintamente, si percepisce la voce di un giornalista che riferisce dell’arrivo in città di Al Garant, emissario di una misteriosa famiglia saudita che vuole acquistare il Napoli.
Massimiliano Gallo

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