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Quando Napoli esponeva lo striscione: “Comunque vada, grazie lo stesso”

Quando Napoli esponeva lo striscione: “Comunque vada, grazie lo stesso”

Il mio amico Giovanni me lo aveva scritto subito dopo la gara di Bilbao: «Basta, chiudo con il Napoli. Smetto come ho fatto con le sigarette». Mi sembrò che stesse esagerando, così gli ricordai i brividi dello stadio pieno, l’emozione della maglia azzurra, l’orgasmo di un gol segnato, il bello di stare assieme per vedere una partita. Ma ora, dopo questo Napoli-Chievo, è venuta voglia di smettere anche a me. E non per la sconfitta, sia chiaro. Ai miei figli lo ripeto spesso: «Siamo tifosi del Napoli, dobbiamo imparare a perdere per goderci le vittorie». Però, ecco, comincio ad averne abbastanza di un calcio che non diverte più. L’omicidio di Ciro Esposito (perché è stato ucciso, anche se nelle ultime ore sembra quasi sia stato lui a sbattere contro un proiettile) i cori anti napoletani legalizzati, la furia degli opinionisti, il rancore dei tifosi alle radio, le minacce di certi striscioni, le sconfitte che diventano tragedie e le vittorie che non contano nulla.

Quando ho preso il vizio, anno 1980-81, quello del terremoto per capirci, il Napoli lottava per il titolo in una città piegata dal sisma. Avremmo capito solo molti anni dopo che, dopo la notte del 23 novembre, nulla sarebbe più stato come prima e anche noi saremmo cambiati per sempre. Però il Napoli vinceva, divertiva, e nelle strade gli striscioni recitavano, addirittura, «comunque vada, grazie lo stesso». Ecco, esposto oggi sembrerebbe sarcastico. E allora, Giovanni, faccio come te. Smetto, mi disintossico. Non seguo più il calcio. Almeno fino a giovedì.
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