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Gargano, l’ultimo merito di Benitez che Napoli continua a fischiare

Gargano, l’ultimo merito di Benitez che Napoli continua a fischiare

Lo hanno capito tutti tranne noi. Vedere da lontano le cose aiuta. Roberto Mancini, in un’intervista alla Gazzetta dello sport, giudica il Napoli in grado di rientrare in corsa per lo scudetto (e qui secondo me francamente esagera) a patto che l’ambiente si calmi. Non dice a patto che Benitez smetta di fare il 4-2-3-1 oppure smetta di essere integralista e smetta di dare giorni di riposo. Roberto Mancini, allenatore che sa come si vince per essersi esercitato a vario titolo e in varie forme nelle città di Genova, Firenze, Roma, Milano, Manchester e Istanbul, se deve individuare un problema nel Napoli lo individua nell’ambiente. 

Può darsi che sia una verità che ci fa male e che non abbiamo voglia di sentire. Ma basta fare un nome per ammettere che c’è del vero in quello che dice il tecnico jesino. Walter Gargano. E’ tra i migliori del Napoli in questo scorcio iniziale di stagione, forse il migliore in assoluto, ma resta un calciatore contestato al San Paolo. L’obiezione in base alla quale se Gargano è il migliore figuriamoci il resto, non incide sul ragionamento che qui facciamo. Qui si parla di sostegno, di fiducia e di apertura di credito per chi sta vestendo il colore che amiamo. Fischiare e contestare è una libertà che nessuno vieta ad altri, farlo a partita in corso e nel caso di Gargano addirittura a stagione ancora da cominciare è una interpretazione singolare della propria passione.

È singolare tutta la vicenda di Gargano. Aveva un suo folto seguito popolare negli anni di Mazzarri allenatore. In genere i calciatori come lui fanno presto a piacere, anche (e soprattutto) ai meno attenti alla tecnica e alla tattica. Lottano, corrono, fanno fallo. Nel loro disordine, lasciano tutto sul campo. A me Gargano non piaceva all’epoca e continua a non piacermi ora. Porta troppo la palla e non se lo può permettere. Gli capita di andarsi a infilare spesso senza criterio tra gli avversari a centrocampo e lascia scoperti spazi per ripartire. Ha la tendenza all’indisciplina. Quando il Napoli se ne privò, pensai che fosse una scelta giusta. Quando al suo posto prendemmo Behrami, non capivo chi si stracciava i capelli considerando quel cambio un deficit. Quando poi Gargano disse le sue frasi sull’Inter e la playstation, pensai che fosse un ruffianotto e soprattutto che fosse un ragazzo incauto, considerato che andava a Milano in prestito e senza l’obbligo del riscatto. E infatti adesso è di nuovo qui, segno che perfino dopo un Mondiale il mercato lo ha valutato in un certo modo. Tutto questo per dire che sul Gargano calciatore non ho cambiato idea: ma se c’è modo e modo per andarsene, esiste anche modo e modo per tornare. 

Gargano è tornato con umiltà. Ha accettato di partire come quinto centrocampista sulla carta, potenzialmente il sesto perché il Napoli doveva ancora prenderne un altro, ed erano quelli i giorni in cui si parlava di Fellaini, Sandro, Lucas Leiva, Kramer, in ogni caso tutti più forti di lui. Gargano ha aspettato la sua occasione e l’ha sfruttata.  Nonostante le perplessità di tanti (me compreso) e addirittura con i fischi che gli cadevano addosso. Un’occasione sfruttata così bene che se oggi gioca da titolare non c’è più nulla da obiettare. Nessuno ne fa più una questione tecnica. Ovviamente nessuno è disposto a riconoscere che si tratta di un’altra operazione recupero di Rafa Benitez: prima di tutto sul piano tecnico e poi sul piano finanziario poiché rivaluta un patrimonio della società. Stessa cosa era già successa l’anno scorso con Mesto e in misura maggiore con Fernandez. Perché allora adesso prendersela con Gargano? Per lo stesso motivo forse che ci spinge a fischiare Quagliarella o Cavani. Mettiamo noi stessi davanti a tutto credendo che “meritiamo di più”, ma anche noi tifosi siamo andati via dal Napoli molte volte, tante volte, dicendo male del Napoli, dicendo di non poterne più, svuotando lo stadio, perciò anche i calciatori potrebbero ritenere di “meritare di più” da noi ma quando lo sostengono, sotto voce, ci offendiamo. Ci addolora sentire che il problema è l’ambiente. Un’altra immagine ci dovrebbe far riflettere. A Reggio Emilia, prima che la partita cominciasse, la squadra si è come al solito raccolta in un abbraccio. L’uomo che parlava ai compagni era Gargano. Non Higuain, non Hamsik. Di fronte a lui Albiol lo fissava e annuiva. Gli altri ascoltavano in silenzio. Il discorso di incoraggiamento è partito da Gargano. E’ il segno che lo spogliatoio, il gruppo, gli riconosce il ruolo di calciatore-alfa. Un comando che in quell’ambiente non si conquista a caso, soprattutto non in una squadra con tanti giocatori di caratura internazionale e non a chi sta tornando tomo tomo da Parma. E’ il segno di un impegno che Gargano sta mettendo per tenere unito il gruppo, i compagni gli riconoscono un’energia positiva. Lo vogliamo ancora contestare? Poi ognuno è liberissimo di ritenere che  vadano fischiati lui, Benitez, De Laurentiis, Ferlaino, Achille Lauro e tutti i santi del calendario cattolico, ognuno è liberissimo di ritenere che sia giusto “amare solo la maglia” dimenticando il fatto che i gol si fanno con i piedi e con la testa, ed è preferibile avere piedi e teste buone, le migliori possibili, dentro e sotto quelle maglie. Ma si amano sempre e tutti quelli che la vestono: Maradona e Ferradini, Careca e Sperotto, Krol e Mattolini, Vinyei e Frappampina. Amare solo la maglia è uno slogan ingannevole: spesso diciamo di amarla e allo stadio nemmeno la mettiamo. Solo una cosa, Garga’. Le punizioni no. Per cortesia. Non le sai tirare. 
Il Ciuccio

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