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Dopo i fischi a Cavani, quelli a Insigne: al San Paolo l’etica di plebe da circo

Dopo i fischi a Cavani, quelli a Insigne: al San Paolo l’etica di plebe da circo

Tutto in otto giorni: fischi per Cavani, fischi per Lorenzo Insigne, fischi per la squadra alla fine del primo tempo della partita con l’Athletic.

I risultati di questi fischi sono nell’ordine: che il ricordo di tre stagioni di grandi gesti sportivi di Edinson Cavani va nel cestino dei rifiuti e resta sporcato per sempre.  Che il problema-Insigne, che appare aperto e conclamato e non da oggi, perché ha evidentemente ben altre cause, si ridurrà a un problema di “maturità” e “carattere”. Quindi un problema in più per chi gestisce la squadra oltre che una evidente entrata alla cieca del pubblico nella vicenda. E infine il gesto infame, antisportivo, incompetente di aver fischiato undici giocatori nel momento di maggiore difficoltà. L’ideale per costruire un rapporto di fiducia e di sostegno. Come se a metà operazione i parenti del malato entrassero in sala operatoria a insultare il chirurgo.

E non mettete in ballo il confronto Insigne-Mertens. Nessun dubbio che ieri sera Lorenzo meritasse la sostituzione. Quello che non meritava sono i fischi, nemmeno dopo il famoso “gesto”. Ma come siete diventati sensibili: voi pretendete di dare il calcio dell’asino, nel senso del vigliacco che colpisce chi è a terra, e quelli devono anche subire? Un conto è un avvicendamento tecnico, altro è infierire su chi sta annaspando. Lo avete fatto e il ragazzo vi ha mandato a farvi fottere. E ha fatto bene.

Solo un pubblico che non sa nulla di sport, nel senso che non lo ha mai praticato né seguito da vicino né vissuto nella sua difficoltà, nel suo stress, nel suo peso può far questo a cuor leggero. Solo chi non sa cosa e come funzioni l’allenamento – e in questo paese non lo sanno nemmeno i giornalisti che seguono il calcio – può non capire cosa è successo ieri sera e ragionare sempre e solo in termini di impegno, di “palle”, di “volontà”. Il calcio vola con l’astronave, voi ragionate come ai tempi dei calendari di barbiere con le donnine nude e la lavanda Col di Nava, anche se avete diciotto anni oggi. 

Il pubblico del san Paolo questo è: incompetente, triste, arrabbiato, incapace di godere della propria storia e del proprio presente, drogato dall’ultima notizia di mercato, avvelenato di “papponismo”, esigente verso la propria squadra come in un collegio prussiano, come mai nessuno di loro si permetterebbe di essere verso se stesso, i propri figli, la propria vita. “Napoletani” con se stessi, germanici con gli altri. L’espressione peggiore di una città che non capisce il lavoro degli altri ed è di cattivo umore perché si odia.

Cari “sanpaolini”, ma mi verrebbe da dire cari cannibali, divoratori di se stessi e della propria esistenza, voi ubbidite a una logica autoreferenziale del tifo, rispettate leggi interne alla tribù da stadio, che vive ormai di emozioni marce. Non avete gioia, non avete canzoni da cantare, non apprezzate il lavoro. E non vi rendete conto che se per voi trionfano le regole del tifo, allora trionfano anche le ragioni di ogni altra tribù. Se vale per voi il diritto a dare sempre e comunque vento alle emozioni, allora vale per tutti. E ieri sera all’Olimpico di Roma hanno invocato il Vesuvio, hanno gridato Napoli Colera, Napoli Merda. Offesi? Non potete. Non potete nemmeno invocare il diritto di essere diversi. Tribù loro, tribù voi, ultrà loro e ultrà voi, anche voi signori professionisti delle tribune-bene che a Fuorigrotta sfogliate l’album breve e polveroso dei ricordi. Tristi loro, tristi voi. Tristi come chi non prova mai un momento di comprensione verso l’altro in difficoltà, di chi concretamente non ha mai portato consapevolmente una responsabilità, di chi vuole solo e sempre quello per cui ha pagato. Insomma, la vostra etica di plebe da circo.
Vittorio Zambardino

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