ilNapolista

La gioia di Bilbao, le nevrosi di Napoli

La gioia di Bilbao, le nevrosi di Napoli

A Bilbao l’attesa per la partita comincia presto. Prima di pranzo. Nella parte vecchia della città, il Casco Viejo, si radunano i tifosi del Bilbao. Tanti, tantissimi. Di ogni età. Dai vent’anni fino ai settantacinque e oltre. Uomini, donne, bambini. Pare che la città non pensi ad altro. Tutti, quasi tutti, con la maglia dell’Athletic. Mangiano, conversano, bevono. Ingannano il tempo. Si preparano. Entrano in clima. Di tifosi del Napoli ne abbiamo incontrato solo uno, con la maglia azzurra. È pieno di bar e tavole calde con foto della squadra. È una simbiosi tra la città e la squadra. È un incontro, non l’attesa di un evento funereo. 

Ci facciamo riconoscere, parlottiamo. Per loro il Napoli è Maradona. E sono convinti di vincere “perché Maradona non ce l’avete più”. Le uniche domande ce le pongono su Benitez. Il resto è come se non esistesse. Una menzione la merita al massimo Higuain. Lentamente, i tifosi si spostano dall’altra parte della città, dove c’è lo stadio, il San Mames. 

Come avviene nel resto d’Europa, lo stadio si riempie nell’ultima mezz’ora. Anzi negli ultimi quindici minuti. Gli stadi all’estero hanno tantissimi varchi. Al Camp Nou ne ricordo più di cento. Solo così è possibile consentire l’afflusso di oltre centomila persone in un quarto d’ora. L’attesa è vissuta fuori. Il San Mames è uno stadio molto bello, sia da fuori che da dentro. Uno stadio moderno. Il novanta per cento degli spettatori indossa la maglia della squadra. Non c’è uno striscione. Non ho riconosciuto tifosi organizzati. Non c’è una bandiera. Guardano la partita seduti. E tifano. Normalmente eh. Come avviene ovunque. Se la squadra attacca, può contare sul loro sostegno; c’è il boato al quasi gol; e il silenzio quando vanno in svantaggio. Nulla di trascendentale. È uno stadio. Molto bello.

Noi, invece, eravamo meno di mille. Secondo me non più di seicento. Una decina aveva la maglia del Napoli. Una fetta consistente la partita l’ha guardata a torso nudo, come se non ci fosse alcuna forma di appartenenza se non a se stessi. Erano quasi tutti tifosi organizzati. Di quelli che si autoproclamano rappresentanti del tifo a Napoli. Hanno e abbiamo cantato, per carità. Il più delle volte cori a me sconosciuti. Ma il tifo c’è stato. Tifo, diciamo che è una sorta di rito di iniziazione. Sono canti tribali. Di gioioso non c’è nulla. Né le facce né i cori né i comportamenti. Nulla che faccia pensare allo sport, all’incontro tra due popoli, alla gioia di affrontare una squadra sconosciuta, a uno scambio culturale. Le facce sono tese. Il gol è una rivendicazione, non un momento gioioso. 

Per carità, quando erano sotto quelli del Bilbao qualche cosina ce l’hanno detta. Sul 2-1 hanno cantato un coretto su “Napoli chupa”. Ci sta, nulla che mi sorprenda. Siamo avversari per 90 minuti. Alla fine, qualcuno ci ha anche aspettato per salutarci e applaudirci fuori lo stadio. In tutta onestà, non so lo avrebbero fatto in caso di sconfitta. Ma va bene. 

Poi, per loro, è stata una festa. I più anziani sono andati a casa. E in strada, nelle vie della movida, era uno sciame di ragazzi, di giovani, maschi e femmine, sorridenti, gioiosi. Festeggiavano come si festeggia la fine della scuola. Bevevano, parlavano, fumavano. Con la maglia del Bilbao. Erano diciannove anni che non vedevano la Champions. Noi – che l’abbiamo giocata in tutto quattro volte – invece non avremmo festeggiato. Per noi era un atto dovuto la qualificazione, da incassare anche con una certa dose di rabbia per non averla messa nel cassetto già tre mesi prima. Noi che abbiamo inventato la figura del tifoso che pretende, che deve vincere non si sa bene in base a quale motivo. Ah sì, perché ora ci siamo stancati di aspettare. Noi che allo stadio non ridiamo mai. Che noi gioiamo mai. Che appena segniamo un gol facciamo partire il coro “chi non salta juventino è”. Che fischiamo il calciatore che ha segnato 104 gol in tre anni. E che quando andiamo sotto contro il Bilbao, fischiamo. Non tutti, per carità. Ma fischiamo. 

Non sto dicendo che abbiamo perso per colpa dei tifosi (ah, uno che non capisce niente di calcio come Carlo Ancelotti ha detto che da noi c’è una incredibile sottovalutazione del calcio europeo, che a Bilbao è dura per tutti, anche per il suo Real). Sto dicendo che il rapporto con la nostra squadra è diventato perverso. La nostra sembra essere una forma di nevrosi. E infatti lo psicodramma che sta andando in scena in queste ore ne è la dimostrazione lampante. Vien da pensare che De Laurentiis abbia accelerato questo fenomeno. Era più bello frusciarsi con i 55mila di Napoli-Cittadella. Quando lasciamo presagire le nostre qualità. La verità è che veniamo fuori al momento della verità. Il tifo, per noi, è vincere. Tranquilli, parleremo degli errori. Di quelli di De Laurentiis e anche di quelli di Benitez. E, ovviamente, della squadra. Ma sono tre giorni che Bilbao mi è rimasta dentro. Non avrei mai smesso di osservare i loro volti. La loro gioia composta e serena. È stato bellissimo andare a Bilbao. Mi ha riconciliato con lo sport. Con quei valori in cui io credo fermamente. E che non mi faranno mai fischiare né Cavani né il Napoli. Né gridare “chi non salta juventino è”.
Massimiliano Gallo

ilnapolista © riproduzione riservata