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Il calcio italiano non può ripartire dalla banana razzista di Tavecchio

Il calcio italiano non può ripartire dalla banana razzista di Tavecchio

Ormai è diventato un caso nazionale. E in questo c’è tanto dell’ipocrisia italiana. Detto questo, la frase razzista di Carlo Tavecchio, candidato di quasi tutta la serie A (tranne Juventus e Roma) alla presidenza della Figc, è nauseabonda. In qualsiasi Paese minimamente civile, un candidato che facesse la seguente dichiarazione – “L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che Opti Poba è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare della Lazio e va bene cosi” – sarebbe costretto immediatamente a fare un passo indietro. 

È triste l’immagine di un calcio che per provare a rinnovarsi si affida a un uomo che alla prima uscita pubblica si rende protagonista di una frase inequivocabilmente razzista. Pochi mesi dopo la scena di Dani Alves, brasiliano del Barcellona, che sbucciò e mangiò una banana che gli era stata lanciata dagli spalti dello stadio di Villarreal.

Come abbiamo accennato prima, in altre occasioni – ricordiamo qui il caso Boateng ma potremmo squadernare il baule della discriminazione territoriale – il calcio italiano si è voltato dall’altra parte. Deve pur esserci un momento di svolta. E visto che le reazioni sdegnate non sono mancate, è il caso che stavolta alle parole seguano i fatti. Non è stata una gaffe quella di Tavecchio; è stata una frase razzista, rivelatrice del suo pensiero. Se non sarà lui a fare un passo indietro, è bene che i suoi elettori cmabino candidato. A partire da De Laurentiis.

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