ilNapolista

10 anni di De Laurentiis e la storia in quella 10

10 anni di De Laurentiis e la storia in quella 10

Domani è il 26 luglio.
Il 26 luglio di 10 anni fa si consumava quello che per me fu l’ultimo alito di speranza e di illusione prima di toccare il punto più infimo che il Napoli avesse mai raggiunto fino a quel momento. Il cappello bianco a falde larghe di Gaucci, Gregucci, il fitto di un ramo d’azienda e la serata dell’Orgoglio Partenopeo, a cui ho partecipato, rappresentarono solo l’epilogo di quello che poi sarebbe stato il vero baratro. Una serata definita “Orgoglio Partenopeo” che doveva essere il nostro salvagente, mentre di lì a poco, passando per Ferlaino, Ellenio Gallo, Moxedano, Corbelli e Naldi, l’orgoglio e la dignità sportiva della città sarebbero stati affossati da un macigno di tristezza e da un mare di cartelle esattoriali e di debiti.
La nostra storia quasi novantennale ha vissuto in quelle fasi il periodo più nero: il fallimento e l’onta del fallimento.
Dopo 10 anni voglio ricordare la mia illusione, le 40mila fiammelle e quella serata al San Paolo, così come amo ricordare ogni momento che ho vissuto insieme al Ciuccio che pure, nel corso del tempo, è stato oscurato e sostituto dalla N.
Quella sera rappresenta simbolicamente l’abisso e certamente non può collocarsi tra i ricordi di cui ho nostalgia. Ma la storia va vista e studiata a 360′ per capire le origini e comprendere il presente cui stiamo assistendo.
In 90 anni di vita, il Napoli ha avuto un ruolo marginale nel campionato italiano: solo per brevi intervalli ha infastidito le grandi del Nord che a turno si sono contesi (e si contendono) lo scudetto e solo in un sporadico caso è riuscito a scalzare. Simbolicamente, quel periodo aureo lo riconduco alla maglia di Maradona. La famosa 10 che oggi ad alcuni tifosi tanto spaventa. La gloria di quel tempo è incancellabile e i nostri discendenti, tra 100 anni, leggendo scritti e libri che tratteranno di calcio e in particolare del Napoli, troveranno le gesta di Diego e di quel Napoli.
È decisamente un passato scomodo, oggi. Proprio perché sembra inarrivabile ed ineguagliabile e per questo, continuamente oggetto di paragoni e paralleli nostalgici, spesso improponibili, ma che rappresenta nel contempo la vetta più elevata della nostra storia. A mio parere, la 10 rappresenta gli anni in cui è racchiuso il riscatto, il mio primo amore con le relative indelebili emozioni e l’orgoglio di aver visto il giocatore più forte e più invidiato di tutti i tempi indossarla. A dispetto di una storia così avara di successi e soddisfazioni. Dimostrando poi di essere stato il più grande proprio negli anni napoletani (non catalani, juventini o madrileni). Non a caso, ancora oggi, quando ho a che fare con clienti o amici stranieri appassionati di calcio, il Napoli è ricordato grazie a Maradona e non il contrario. Non a caso, i nostri pluridecorati avversari, ogni qual volta parla Diego o si parla di Diego, tirano in mezzo almanacchi e storie di droga o di efedrina. A dimostrazione che il bruciore non è mai passato e mai passerà: Milan, Juve e Inter possono vantarsi di scudetti e di coppe in bacheca, ma mai che il giocatore più grande di tutti abbia indossato una loro maglia a strisce. Quella 10, appunto.
Questo non vuol dire necessariamente vivere di ricordi o che la nostalgia per l’età dell’oro sia il freno a nuove ed evolute passioni e magari, vittorie. Anzi. Nel corso degli anni mi sono innamorato altre innumerevoli volte, e spesso in maniera assolutamente infondata: Zola, Fonseca, Schwoch, Stellone, fino a Lavezzi e Higuain dei giorni nostri. Senza dimenticare nel mezzo, Protti, Bellucci, Dionigi e l’entusiasmo che suscitarono Robbiati e Pasino prima che scendessero in campo. La nostalgia è la muffa che impedisce di guardare oltre e di sognare un futuro ricco e radioso, concordo, ma il Napoli di Benitez, straordinariamente a quello che è il nostro tragitto storico, ha tutte le carte in regola per poter ripercorrere fasti e onori, a prescindere dal settennato.
Oggi, sono anni luce dalle parole di Maradona. In cuor mio, spero che stia lontano quanto più possibile dalla nostra squadra, perché lo ritengo più un pericolo che un aiuto, ma ciò che ha rappresentato sul campo e fuori in quegli anni non sarà mai cancellato. Un po’ come accade con i primi baci e i primi palpiti del cuore.
Chi mi chiama nostalgico, generalizzando, perché continuo a dire “la 10 non si tocca”, rispondo, generalizzando, che costoro hanno paura della storia e non hanno alcun interesse a conservarla. Se ne fottono, per dirla alla De Laurentiis. Anzi, pensano esattamente alla maniera del nostro presidente: prima del suo avvento il Napoli non è esistito se non nella Playstation. Chi vuole riconsegnare quella maglia la pensa come Agnelli che in 5 minuti ha liquidato un simbolo e ha spedito come un pacco dall’altra parte del mondo tra canguri e koala chi potesse oscurare la sua nuova gestione (costringendo tra l’altro l’ultimo arrivato – Tevez – a indossare la maglia del glorioso predecessore).
I simboli negativi, come il cappello bianco a falde larghe di Gaucci, vanno ricordati per non commettere gli stessi errori; i simboli positivi vanno preservati e difesi per il valore che hanno avuto e perché con essi si è fatta e si fa la storia.
Se così non fosse, domani potremmo ritrovarci un distributore di bibite al posto del Cristo velato o un casinò (o un casino) al posto del Maschio Angioino. Oppure assistere al crollo di Pompei per la strafottenza delle istituzioni o magari qualcuno che proporrà di sostituire il Ciuccio con un bruco o un elefante.
Almeno in questo caso però, seppur ci costringessero a dimenticarcene, sarà lui a ricordarsi di noi. E della nostra storia.
Nel bene e nel male, rispettiamo i simboli. No ai vandali. Grazie.

Forza Napoli Sempre
La 10 non si tocca.
Gianluigi Trapani

ilnapolista © riproduzione riservata