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Non è il calcio a tirare fuori il peggio di noi, è il buffet in piedi

Non è il calcio a tirare fuori il peggio di noi, è il buffet in piedi

Niente, il fatto è che con il ritiro del Napoli a Dimaro, in quella sottospecie di casa delle bambole tirolese che non sai mai se in conferenza stampa al posto di Bigon esce la principessa Sissi (ma in quel caso non sarebbe male perché almeno lei ci sa fare con i tedeschi e quindi Kramer se lo arravoglierebbe in quattro e quattr’otto) possiamo dichiarare ufficialmente aperta la stagione calcistica e per tale via pure la stagione di quei vecchi tromboni che “no maronna mia mia mo’ comincia un’altra volta il campionato e basta, basta con questo calcio che ormai è solo business, violenza e tira fuori il peggio delle persone”. 

Non è così. Non è il calcio lo sport di squadra che tira fuori il peggio delle persone. Nossignori, quello è il buffet in piedi, quello che tra poco il comitato olimpico inserirà negli sport estremi, quello in cui come arriva la sposa tutti gli invitati si dividono in commando e tu pure se mo’ stai venendo da una cenone di capodanno tu quella mozzarellina impanata la DEVI avere e pazienza se per averla dovrai ammazzare la ‘gnora ed occultarne i resti dentro a un’oliva ascolana.

No. Il calcio non è così. Eccezion fatta per qualche strunz che considera i tifosi delle squadre avversarie esattamente come delle mozzarelline impanate giganti il calcio non ti fa venire voglia di ammazzare la ‘gnora.

Certo, se la ‘gnora ti passa davanti alla tv nel momento stesso in cui Inler sta tirando una punizione è normale che un poco ti inalberi ma solo perché Dio solo sa dove la manderà stavolta quella sfaccetta di palla, se cioè resterà nell’ambito del nostro sistema solare o se ne andrà nell’Iperuranio, raminga, a raccontare alle altre forme di vita certamente ivi presenti che a Napoli ci sta un turco svizzero che sono anni che non è cazzo di ingarrare la porta.

Ma comunque, il calcio non tira fuori il peggio delle persone. Il calcio tira fuori il meglio di noi. Come nel fanciullino di Pascoli o nel mito del buon selvaggio di Rousseau. Solo che qui invece di scrivere poesie e orazioni il fanciullino e il buon selvaggio scrivono rispettivamente mammt e chitemmuorti. Ma per il resto è la stessa cosa.

Cos’altro è, infatti, se non un fanciullino, quella voce che ci impone di piangere a tanto di lacrime quando nonostante i goal di Higuain usciamo dalla Champions con 12 punti? Cos’altro è se non il buon selvaggio quello che dentro di noi si desta quando sopra allo stadio pure per parlare tra di noi allucchiamo come dei zulù e se ci passano una marenna noi nonostante il colerestolo alto e il fatto che appaia condita con paraffina ed etanolo diciamo ma sì, ma che me ne fotte, ma mo’ ce la chiavo una capata?

E’ il fanciullino, quello che ha “lagrime e sospiri ancora suoi”, che vede le cose per la prima volta e che se pure nel ritiro a Dimaro vede un’altra volta a Britos sospira, appiccia un cero a San Gennaro e fa finta che non è successo niente. E’ il fanciullino, quello che dà alle cose un nome nuovo: “‘on Rafè” al posto di Benitez, “curnut” al posto di “arbitro”, “mannaggia quella morte stuppola” al posto di “che disdetta”. E’ lui, il fanciullino, solo che invece di “digitale purpurea” a noi ci fa dire “quella cosa ‘e mammt”.

Del resto è evidente che se invece di nascere a San Mauro di Romagna Pascoli fosse nato nella Pignasecca al posto della poetica del fanciullino avrebbe elaborato la poetica del chitemmuorto e chissà, forse magari invece di passare pomeriggi interi a spiare le coppiette che trombavano in grazia di Dio a casa loro avrebbe passato il tempo o a trombare lui stesso o a spiare undici maschi intenti pure loro – sebbene per altre vie – a inserire A in B. O a non prendere B in A, che pure è fondamentale. Ma in ogni caso, sempre di poesia si sarebbe trattato. Perciò tifamus et amemus, e vafancul a chi dice il contrario.

Anna Trieste

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